Prima che la premier Giorgia Meloni prendesse l’aereo che la portasse negli Stati Uniti per incontrare il presidente Donald Trump, la stampa italiana aveva parlato di un risultato tutt’altro che scontato. In tanti avevano fatto riferimento alla schedina “0, x, 1” per dire che sarebbe potuta andare in qualsiasi modo. Ora che la visita alla Casa Bianca si è conclusa, possiamo affermare che l’esito è stato a noi favorevole. La premier ha portato a casa esattamente il risultato che si prefiggeva: l’apertura di un negoziato UE-USA sui dazi.
Verso negoziato UE-USA sui dazi
Lasciamo perdere i complimenti reciproci, specie rivolti a Meloni da Trump.
Fa parte della costruzione dei rapporti personali, che nell’arte della diplomazia risultano il più delle volte essenziali. L’Italia non poteva recarsi a Washington da rappresentante dell’UE. Sulle politiche commerciali il potere esclusivo spetta alla Commissione europea. Tuttavia, questa le aveva affidato un incarico informale. La presidente Ursula von der Leyen è rimasta in costante contatto con la premier italiana fino a poco prima che entrasse alla Casa Bianca. Obiettivo: cercare un canale per l’avvio delle trattative con Oltreoceano.
Manca una data certa, anche se Meloni ha dichiarato davanti alle telecamere nello Studio Ovale che ha invitato Trump a Roma e che egli ha accettato di venire per negoziare sui dazi. E’ un grande passo in avanti, confermato dallo stesso tycoon, che si è detto certo di un “accordo al 100% con l’UE”. I termini dovranno tutti essere pattuiti. Non sappiamo se torneremo alla condizione di prima, cioè se ci eviteremo anche i dazi al 10%.
Lo scenario peggiore sarebbero i dazi al 20%, sospesi per 90 giorni. Il migliore l’azzeramento reciproco dei dazi, che passerebbe per una trattativa più ampia e che probabilmente non coinvolgerebbe la sola politica commerciale.
Le offerte agli USA
Sul piatto Meloni con Trump ha messo un paio di offerte. In primis, aumento della spesa militare al 2% del Pil già da quest’anno. Per gli USA è un fatto importante, perché se l’Europa spende di più nella difesa, permette a Washington di risparmiare nell’ambito NATO. Ci sono anche i 10 miliardi di investimenti delle aziende italiane negli USA ad avere fatto piacere al tycoon, anche se questione relativamente marginale. Non tutto è stato detto a beneficio di telecamere. A porte chiuse è molto probabile che la premier abbia rassicurato l’interlocutore sulla collaborazione dell’Italia (e dell’UE) nella creazione di un fronte anti-cinese.
Questa questione è molto delicata. La guerra dei dazi Trump l’ha scatenata con il preciso scopo di isolare commercialmente, economicamente e politicamente Pechino. L’Europa è divisa su questa strategia. Il premier spagnolo si è persino recato in visita da Xi Jinping per testimoniare la sua volontà di stringere le relazioni bilaterali. La Germania stessa pensa di puntare ancora di più sul mercato cinese per allentare la dipendenza da quello americano. Alleanza anti-cinese implicherebbe che anche Bruxelles chiudesse alle importazioni.
Ci sono interessi economici forti che oppongono resistenze.
E sempre sul piatto Meloni avrà messo per Trump maggiori acquisti europei di gas e armi dagli USA. Un “do ut des”, insomma. Chi recrimina che non siano uscite fuori misure concrete, fino a ieri pomeriggio sosteneva che l’Italia non potesse neppure dare l’impressione di negoziare sui dazi. A sostegno della tesi di un ritrovato attivismo del nostro Paese in politica estera, la visita già oggi a Roma del vice-presidente James David Vance. Incontrerà un’altra volta la nostra premier, oltre che a recarsi in Vaticano. E domani nella Capitale si terrà il secondo round del negoziato USA-Iran sul nucleare.
Meloni da Trump porta il risultato
L’America di Trump si fida dell’Italia di Meloni e lo ha fatto capire in tutte le salse. Questo è un indubbio vantaggio per il nostro governo, che potrà fare valere la sua posizione di pontiere transatlantico anche all’interno dell’UE, dove finora il mazzo è stato sempre gestito (pessimamente) dall’asse franco-tedesco. Chi anche a Roma aveva chiesto alla premier di scegliere tra Bruxelles e Washington, dovrebbe iniziare finalmente a fare politica e a smetterla di perseguire una linea perdente di appiattimento ai desiderata altrui, che il più delle volte non coincidono con la tutela del nostro interesse nazionale. Sui dazi la paura non è passata. Tutto può ancora saltare in aria. Di certo, però, l’Italia ha fatto la sua parte per proteggere le imprese esportatrici e l’intera economia nazionale. Le chiacchiere stanno a zero.