Quando Donald Trump divenne presidente degli Stati Uniti dopo la vittoria a sorpresa alle elezioni del 2016, il Vietnam risultò essere da un sondaggio lo stato in cui godeva del maggiore gradimento. Incredibile, se si pensa che per gli americani rappresenti ancora oggi un nervo scoperto, una ferita mai rimarginata per la guerra che vide contrapposti militarmente i due Paesi tra gli anni Sessanta e Settanta. Le relazioni commerciali sono state un crescendo negli ultimi anni e forse nessuno ad Hanoi si aspettava di finire nella lista dei dazi annunciata dal tycoon il 2 aprile e persino tra i maggiori colpiti.
Dazi al 46% su esportazioni verso USA
Il Vietnam subirà dazi al 46% sulle merci esportate verso gli USA.
Il governo ha subito chiamato Washington, dicendosi disponibile ad azzerare i propri dazi sulle importazioni di merci americane per negoziare un accordo che eviti la stangata. Il consigliere del presidente sui dazi, Peter Navarro, ha dichiarato che non basta. Lamenta che siano le barriere non tariffarie il vero problema dal punto di vista degli americani, nonché il furto delle proprietà intellettuali, l’IVA sui beni e l’essere diventati un hub per le merci cinesi.
Se c’è un’economia emergente che ha saputo sfruttare negli ultimi decenni la globalizzazione, questo è stato proprio il Vietnam. Il Pil pro-capite in 15 anni è quasi quadruplicato e si aggira intorno ai 4.500 dollari. La crescita economica in media è stata superiore al 6% nell’ultimo decennio. Il miracolo del Vietnam è avvenuto grazie alle esportazioni. Queste ammontavano tra il 40% e il 50% nei primi anni Duemila, mentre oggi incidono per oltre l’80% del Pil.
Aggiungendo i servizi, si attesterebbero anche oltre il 90%.
Scarpe e abbigliamento, ma non solo
Cosa esporta il Vietnam? E’ diventata la fabbrica di capi di abbigliamento per le multinazionali. Qui, Nike produce la metà delle scarpe sportive vendute e il 28% dei capi di abbigliamento. Adidas non è da meno con il 39% delle scarpe fabbricate. Anche colossi dell’high-tech come Apple hanno spostato parte della produzione proprio qui. E il boom è arrivato con il Covid. La Cina è diventata meno sicura per le società occidentali, che hanno deciso negli ultimi anni di dislocare nel vicino Vietnam, dove la manodopera abbonda e costa meno.
Fatto sta che le esportazioni verso gli USA nel 2024 sono state pari a più di 136 miliardi di dollari, oltre un terzo del totale e il 29% del Pil. Nel 2019 erano ancora appena di 66,4 miliardi con un avanzo commerciale di 55,6 miliardi. Questi è salito ai 123,5 miliardi del 2024. In pratica, ogni abitante del Vietnam esporta più di 1.200 dollari netti all’anno presso la principale economia mondiale. Una cifra che corrisponde ad oltre un quarto del Pil.
A rischio obiettivi di crescita in Vietnam
I dazi potrebbero ridurre la crescita economica dell’1,2% quest’anno. L’obiettivo del governo sarebbe di tendere a una crescita media annua dell’8%. Il Vietnam non può fare a meno del mercato americano per le proprie esportazioni.
Né gli USA possono permettersi a cuor leggero di rinunciare ad importare dallo stato asiatico. Di mezzo ci andrebbero prodotti di largo consumo, i cui rincari colpirebbero proprio i ceti popolari che Trump intende tutelare con il rimpatrio della manifattura.
Il successo del Vietnam non riesce più a celare il guaio di avere puntato esclusivamente sulle esportazioni per crescere. Soprattutto, queste sono concentrate su un unico mercato. Per quanto ricco, le tensioni rischiano adesso di far svanire parte di quel dividendo che l’economia emergente aveva incassato grazie all’internazionalizzazione. Un accordo con Washington sembra verosimile, non fosse altro per segnalare ai partner commerciali più grossi come Cina ed Europa che cooperare con gli USA conviene.