Mentre gli occhi dei mercati erano tutti sulla riunione ancora in corso alla Banca Centrale Europea, giovedì scorso la Turchia sorprendeva tutti annunciando un maxi-rialzo dei tassi di interesse con l’obiettivo non dichiarato di arrestare la crisi del cambio. I tassi di riferimento sono passati dal 42,50% al 46%. Il tasso overnight è salito dal 41% al 44,5% e il tasso sui prestiti dal 46% al 49%. L’istituto centrale di Ankara a dicembre aveva iniziato ad allentare la politica monetaria, riducendo i tassi dal 50% fino a portarli al 42,5%.
Mercati nel caos dopo l’arresto di Imamoglu
L’inversione a U non è dettata dalla ripresa dell’inflazione, che nel mese di marzo ha continuato a scendere su base annua al 38,1%.
I problemi sono scaturiti un mese fa con l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu. L’uomo è accusato di corruzione e altri reati. Considerato il principale oppositore politico del presidente Recep Tayyip Erdogan, la sua detenzione ha scatenato massicce proteste nel Paese. I mercati hanno reagito negativamente. Il cambio in Turchia era sprofondato ai nuovi minimi storici contro il dollaro nelle ore successive. Il rapporto tra le due valute era salito fino a 42 da meno di 37. Grazie all’intervento della banca centrale è stato contenuto da allora a 38.
Tuttavia, queste misure stanno avendo un grosso costo. La difesa del cambio in Turchia ha comportato l’impiego di 50 miliardi di dollari, oltre a 120 miliardi di lire (circa 3,15 miliardi di dollari) per l’acquisto di bond. Le riserve valutarie si sono assottigliate di ben 29,1 miliardi, scendendo a 68 miliardi in tre settimane. Subito dopo l’arresto, il tasso sui prestiti era stato aumentato al 46%.
Sostegno alla lira turca con rialzo dei tassi
Il cambio in Turchia aveva reagito positivamente all’annuncio del rialzo dei tassi, giovedì scorso. Contro il dollaro riusciva a guadagnare fino a mezzo punto percentuale. Alla riapertura del mercato del giorno dopo, però, cedeva nuovamente fino all’1,50%. Chissà che la banca centrale non abbia ridotto il suo sostegno alla lira turca, confidando sul ri-afflusso dei capitali grazie ai tassi. Fatto sta che il processo di disinflazione è ora a rischio. Formalmente, a causa dei dazi americani. La Turchia ha subito una tariffa del 10%, la minima fissata dall’amministrazione Trump.
La verità è che i danni sono stati fatti in casa. Per l’ennesima volta la politica mette a repentaglio l’operato del governatore di turno. La svolta c’era stata meno di due anni fa con le elezioni presidenziali. Era il maggio del 2023, Erdogan otteneva a fatica un secondo mandato e subito dopo nominava un nuovo team a capo dell’economia per adottare misure ortodosse. La lira veniva svalutata, i tassi alzati e il deficit gradualmente risanato. L’inflazione, dopo essere esplosa fino al 75%, nella primavera scorsa iniziava la lenta discesa. I mercati stavano riprendendo fiducia e i capitali stranieri erano parzialmente tornati dopo la lunga fuga.
Cambio in Turchia nuovamente a rischio
Tutto questo lavoro rischia di non esitare i risultati sperati.
Il cambio in Turchia è stato tenuto sotto controllo anche prima dell’arresto di Imamoglu, ma le riserve valutarie erano nel frattempo salite ai massimi storici. Dai massimi di febbraio sono già scese di un terzo, cioè di 33 miliardi. Il calo era iniziato prima dell’arresto, probabilmente legato alle tensioni relative ai dazi dell’amministrazione Trump. Ma la necessità di alzare i tassi si è resa quasi certamente obbligata a causa delle turbolenze politiche interne. E dire che gli investitori fossero tranquilli all’idea che le prossime elezioni sarebbero state in programma solamente nel 2028.