Non esiste giorno senza che si parli di oro per segnalarne l’ennesimo successo storico con il raggiungimento di sempre nuovi record. Ieri, le quotazioni spot internazionali hanno oltrepassato per la prima volta la soglia dei 3.300 dollari l’oncia, salendo fin sopra 3.320 dollari. Da inizio anno segnano un rialzo superiore al 26%. Il metallo è trainato dalla corsa ai beni rifugio che si è scatenata sui mercati finanziari a seguito delle tensioni commerciali, particolarmente tra USA e Cina. Anche il dollaro debole sostiene il boom.
Nuovo ordine mondiale in vista
Chi compra? La domanda è ormai strutturalmente solida tra le banche centrali, le cui detenzioni a fine 2024 risultavano salite a 37.755 tonnellate.
Esse equivalevano al 17% di tutto il metallo giallo che si ritiene essere stato estratto nel mondo dalla notte dei tempi ad oggi. Gli istituti sono diventati acquirenti netti sin dal 2010, anno a partire dal quale hanno aggiunto alle loro riserve 7.800 tonnellate. Nel frattempo, le quotazioni sono esplose di circa 2.000 dollari per oncia.
Il successo dell’oro appare tutt’altro che congiunturale. C’è una tendenza storica consolidata e figlia dei tempi. Si parla da numerosi anni di nuovo ordine mondiale, che nell’era di internet è diventata un’espressione complottista, quando semplicemente denota la necessità di un riassetto geopolitico e con conseguenze anche di natura finanziaria. La storia dei dazi americani s’insinuerebbe in questo percorso. Il governo americano punterebbe a porre fine alla globalizzazione di questi decenni per arrivare a un nuovo equilibrio che allenterebbe la dipendenza strategica dell’America dal resto del mondo, soprattutto dalla Cina.
BRICS a caccia di metallo contro il dollaro
E cosa c’entrerebbe il successo dell’oro con il nuovo ordine mondiale in vista? Dal 2010 quasi metà degli acquisti di lingotti sono arrivati da sole 4 banche centrali, quelle di Cina, Russia, India e Turchia.
Queste sono economie emergenti con elevati tassi di crescita negli ultimi decenni. L’accumulo di riserve valutarie ha consentito loro di acquistare oro anche nell’ottica di una diversificazione dal dollaro. Soprattutto Cina e Russia guidano il fronte dei cosiddetti BRICS per rendersi sempre più indipendenti dalla finanza dollaro-centrica. Pandemia, guerre e sanzioni hanno accelerato questo processo, pur restando la meta lontana.
In altre parole, il successo dell’oro fa da contraltare alla possibile riduzione della fiducia nel dollaro. E la Banca Popolare Cinese potrebbe nascondere il dato reale sulle sue riserve. Ufficialmente, risultano salite a 2.280 tonnellate. Ma alcuni analisti credono che, date le estrazioni domestiche e il divieto di esportazione del metallo, le riserve potrebbero ammontare tra 10.000 e 20.000 tonnellate. Se così, avrebbero già superato quelle americane di 8.133,46 tonnellate e svetterebbero in cima al mondo. Probabile che la Cina aggiorni le cifre quando sarà sicura di poter sbandierare tale primato senza irritare Washington in piena “guerra dei dazi”.
Successo oro paventa crisi futura per valute forti
A cosa servono tanti lingotti? A offrire sostegno alle valute nazionali, agganciandole possibilmente in futuro al bene rifugio per eccellenza com’era in passato. I BRICS punterebbero persino a creare una moneta comune, obiettivo di difficilissima realizzazione, trattandosi di stati anche tra loro distanti geograficamente e con caratteristiche socio-economiche assai variegate. Il successo dell’oro oggi paventerebbe un contraccolpo futuro ai danni delle attuali valute “forti” come dollaro, euro, sterlina e yen.
Ciò si verificherebbe se non fosse posto rimedio a problemi ormai cronicizzati come debito pubblico e stamperie monetarie delle banche centrali per renderlo sostenibile. I mercati si starebbero preparando già a un futuro in cui a contare sarà un asset fisico, anziché voci finanziarie speculari a debiti crescenti.