Smart working per tutti con figli fino a 12 anni di età

In via di approvazione la legge che concede il diritto allo smart working per genitori con figli di età inferiore ai 12 anni e ai caregivers.
3 anni fa
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smart working

Il ricorso allo smart working diventerà strutturale e facoltativo se si hanno figli fino a 12 anni. Lo prevede un passaggio della bozza di decreto legislativo attuativo della direttiva comunitaria n. 1158/2019.

Il governo intende quindi concedere maggiori tutele in ambito lavorativo per le famiglie con figli. Anche nell’ottica di conciliare maggiormente gli impegni dei figli con quelli lavorativi, soprattutto se entrambi i genitori lavorano.

Smart working prioritario per genitori con figli fino a 12 anni

La novità rientra nell’ottica di favorire il ricorso dello smart working dopo che la pandemia ha costretto a sperimentarne (con successo) l’utilità. Soprattutto per svolge lavori nel settore terziario e nella pubblica amministrazione.

La novità, al vaglio del Parlamento, si abbina anche con la possibilità per i genitori di fruire del congedo parentale sino al 12° anno dei figli.  Un combinato che dovrebbe tutelare maggiormente le famiglie con figli. Per i genitori con figli disabili, non ci sarà limite di età.

I vantaggi dello smart working, del resto, sono noti. Sia per il datore di lavoro che è così in grado di risparmiare su costi di logistica ottenendo al contempo maggiore produttività da parte del lavoratore. Sia per il lavoratore che è così in grado di conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari svolgendo le proprie mansioni a distanza.

I caregivers

Secondo quando previsto dal decreto legislativo, il diritto allo smart working sarà esteso anche ai caregivers. Cioè a coloro che usufruiscono delle due ore di permesso giornaliero o dei tre giorni mensili per l’assistenza al familiare affetto da disabilità grave.

In tal senso la priorità allo smart working è prevista anche nei confronti dei lavoratori definiti che assistono e si prendono cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto di un familiare o di un affine entro il secondo grado.

Ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo  grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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