Non hai potuto svolgere alcuna attività lavorativa perché l’INPS te lo impediva? Non hai potuto arrotondare la pensione con piccoli redditi da lavoro, nemmeno per dare una mano nell’attività di tuo figlio o tuo genero? Niente paura, adesso, dopo un’ordinanza della Sezione Lavoro del Tribunale di Ravenna, il caso finisce addirittura davanti ai giudici della Corte Costituzionale. Il divieto di lavorare per chi è andato in pensione con la quota 100 approda a seri dubbi di legittimità costituzionale. Lo stesso divieto è stato in passato applicato alla quota 102, e ora alla quota 103 e all’Ape sociale. Si apriranno le porte a un cambio di orizzonte e di interpretazione? In tema di pensioni e divieto di cumulo, chi rimborsa i pensionati che sono stati penalizzati per anni?
Che sentenza bisogna aspettarsi adesso dalla Corte Costituzionale
Aspettare la sentenza può essere l’unica soluzione.
Tuttavia, nello specifico, parlando di pensioni con quota 100, ormai è tardi: quasi tutti i beneficiari hanno subito il divieto senza poter fare nulla. E adesso, chi rimborsa i pensionati penalizzati dal 2019?
Come vedremo, la domanda è complessa, perché se davvero si arriverà a una sentenza che dichiari incostituzionale il divieto, resterebbero comunque persone penalizzate e tali rimarrebbero.
Pensioni e divieto di cumulo: chi rimborsa i pensionati penalizzati dal 2019?
Partiamo spiegando come funziona il divieto di cumulo. Questo vincolo è stato introdotto nel triennio 2019-2021 per la quota 100, poi nel 2022 per la quota 102, misura subentrata alla quota 100. E dal 2023 a oggi, il divieto continua a operare, non solo per la quota 103 (che ha preso il posto della quota 102), ma anche per l’Ape sociale.
Chi va in pensione con queste forme – o ci è già andato in passato – non può svolgere alcuna attività lavorativa per tutto il periodo in cui percepisce il trattamento anticipato. È ammesso soltanto il lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro di reddito annuo.
Cosa accade a chi, da pensionato, non rispetta il divieto di cumulo coi redditi da lavoro?
Chi è scoperto a lavorare – magari con un contratto da dipendente o come lavoratore autonomo – a prescindere dal reddito o dalla durata dell’impiego, subisce pesanti conseguenze.
La pensione percepita (che sia quota 100, quota 102, Ape sociale o quota 103) è immediatamente sospesa. Non solo: il pensionato deve restituire tutti i ratei percepiti nell’anno in cui ha lavorato, a prescindere dall’effettiva entità dei redditi.
Pensioni con quota 100, 102, 103 e Ape sociale, chi rimborsa i pensionati penalizzati dal 2019?
Ripetiamo, non conta la durata del lavoro né il reddito prodotto. Se non si tratta di lavoro autonomo occasionale entro i 5.000 euro annui, scatta la sospensione della pensione e l’obbligo di restituire le somme. È successo che alcuni pensionati abbiano dovuto restituire migliaia di euro di pensione dopo aver percepito compensi di poche decine di euro come comparsa in un film, oppure un rimborso spese di 100 euro come cronometristi per una ASD sportiva.
Oppure, chi ha dovuto restituire somme all’INPS soltanto perché il figlio, bisognoso di aiuto, lo ha assunto per una settimana nella sua azienda.
Ciò che finisce sul banco degli imputati, secondo i giudici di Ravenna e ora all’attenzione della Consulta, è la sproporzione della pena. In molti casi, la sanzione appare eccessiva rispetto al vantaggio (minimo) ottenuto con la violazione del divieto di cumulo.
Ecco perché nulla si può fare più per chi è finito dentro i vincoli
Probabilmente, solo ora ci si rende conto della sproporzione di un principio così rigido. Essendo misure di pensionamento anticipato, si parte dal presupposto che chi le sceglie non voglia più lavorare. Di conseguenza, lo Stato concede la pensione in anticipo ma pretende che non ci siano ulteriori attività lavorative.
Eppure, a volte si tratta di lavoretti saltuari, che per alcuni pensionati potrebbero servire a arrotondare un assegno ridotto o fronteggiare una spesa imprevista.
Il carattere punitivo di questa norma appare ormai evidente, e anche la Giurisprudenza sembra essersene accorta. Tuttavia, per chi è andato in pensione con quota 100 già dal 2019, il periodo di anticipo è praticamente concluso, e al raggiungimento dei 67 anni non si è più assoggettati al vincolo.
Niente rimborso per chi la penalizzazione l’ha subita seguendo le regole sul divieto di cumulo tra lavoro e pensione
Infatti, per tutte le forme di pensione anticipata (quota 100, 102, 103 e Ape sociale), il divieto di cumulo con il reddito da lavoro decade al compimento dei 67 anni. Dunque, chi ha rinunciato a lavorare in questi anni, adesso non trae alcun beneficio da un’eventuale pronuncia della Corte Costituzionale che dichiari illegittimo il divieto. E chi li rimborsa, i pensionati penalizzati dal 2019?
Probabilmente nessuno. A meno che non siano stati raggiunti da condanne relative alla violazione del divieto. In tal caso, se arriverà un giudizio di incostituzionalità, l’INPS potrebbe essere costretto a rimborsare ciò che ha trattenuto con la sospensione della pensione e quanto il pensionato ha dovuto restituire.