L’inflazione negli Stati Uniti continua a scendere. Il dato di marzo, pubblicato ieri, è risultato il più basso dal maggio del 2021: +5% annuale, sotto le attese del +5,2%. Si è trattato del nono calo consecutivo. Ciononostante, il dato “core”, cioè al netto di energia e generi alimentari, è salito ancora al 5,6% annuale e segnando un incremento mensile dello 0,4%. A seguito di queste cifre, i rendimenti dei T-bond sono scesi lungo la curva delle scadenze, con il decennale tornato sotto il 3,40% e il biennale verso il 3,90%.

La reazione è stata identica nell’Area Euro. Il BTp a 10 anni offriva il 4,10% subito dopo la pubblicazione, 5 punti base in meno di prima. E lo spread si abbassava di un paio di punti, stringendo verso quota 180. In calo anche i rendimenti biennali sopra il 3,20%.

I mercati finanziari hanno colto nell’ennesimo calo dell’inflazione americana il segnale che la Federal Reserve si avvii a cessare il rialzo dei tassi d’interesse. Sconta ancora che questi salgano di un quarto di punto percentuale al 5,25% a maggio. Dopodiché, però, inizia a intravedere un taglio dei tassi, i quali a fine anno scenderebbero al 4,50%. Ciò implicherebbe una riduzione di tre quarti di punto percentuale dall’apice che sarebbe raggiunto tra poche settimane.

Rendimenti giù, ma tassi BCE saliranno

Nell’Area Euro, ad essere sinceri il mercato non nutre aspettative così identiche. Sconta un rialzo dei tassi fino al 4,25% entro settembre, cioè di tre quarti di punto percentuale dai livelli di marzo. Anche per questo il cambio euro-dollaro si è riportato in area 1,10, soglia che aveva superato a inizio febbraio, alla vigilia del primo board dell’anno della Banca Centrale Europea. Ciò detto, i rendimenti tedeschi a 2 anni parlano chiaro: sotto il 2,70%, risultano ormai decisamente inferiori ai tassi sui depositi bancari al 3% e destinati a salire, sempre stando al mercato, al 3,50-3,75%.

La curva “benchmark” in euro prevede, quindi, che anche nell’Area Euro i tassi d’interesse saranno tagliati nel medio periodo.

I futures segnalano che da qui ai prossimi due anni scenderanno al 3,50%, cioè che restino invariati rispetto ai livelli attuali. Uno dei due si sbaglia, evidentemente. Quanto al calo dello spread, risente del minore rischio sovrano percepito a carico del debito pubblico italiano in condizioni monetarie meno restrittive.

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