Tra i quattro titoli di stato offerti ieri dal Tesoro in asta vi era la terza tranche del BTp 15 aprile 2026 (ISIN: IT0005538597) con cedola 3,80%, cioè la nuova scadenza a 3 anni. A fronte dei 3,25 miliardi incassati – importo massimo della forchetta fissata alla vigilia – le richieste sono state per 4,76 miliardi. Il prezzo di aggiudicazione è risultato di 100,67, di poco sopra la pari. Ad esso ha corrisposto un rendimento lordo annuo alla scadenza del 3,59%, in calo dal 3,71% esitato all’asta precedente con l’emissione della seconda tranche.

Un premio nell’ordine dello 0,07% rispetto al rendimento vigente sul mercato secondario per il medesimo titolo.

Il calo dei rendimenti è sempre positivo per chi emette i titoli del debito pubblico. Implica un minore costo, cioè più soldi incassati rispetto al valore nominale dei titoli e/o cedole più basse. Ma per l’obbligazionista è certamente un fatto negativo, sebbene a rilevare sia il rendimento netto reale, vale a dire scorporando l’inflazione attesa. Solo a posteriori sapremo, com’è evidente, quale sarà stata la perdita del potere di acquisto subita dall’investitore. Per il momento, possiamo fare solo ipotesi.

Il BTp 2026 offre un rendimento netto del 3,11%, stando ai calcoli elaborati da Assiom Forex. Rispetto solamente a un anno fa, tanta roba. Pensate che di questi tempi, agli inizi di aprile del 2022 il rendimento triennale italiano fosse inferiore all’1,20% lordo. Ma l’inflazione nel frattempo è salita ai massimi da 40 anni a questa parte, sfiorando il 12% per l’indice ISTAT di riferimento. Pur in calo, il governo ha previsto con l’approvazione del DEF un tasso del 5,9% per quest’anno. Per l’anno prossimo, i prezzi al consumo salirebbero di un altro 2,8% e nel 2025 del 2,1%.

BTp 2026 non passa esame inflazione

Prendiamo per il momento per buoni i dati ufficiali, che sottolineiamo essere destinati a subire anche grosse variazioni in un senso o nell’altro al mutare delle condizioni del mercato.

Se il governo avesse ragione, nel triennio considerato l’inflazione cumulata in Italia supererebbe l’11%. Rispetto ai ritmi degli anni passati, stiamo parlando di una perdita del potere di acquisto alla velocità della luce. D’altra parte, il BTp 2026 mi offrirà intorno al 3,10% netto all’anno, cioè meno del 9,50% da qui alla scadenza. E c’è da considerare l’imposta di bollo dello 0,20% gravante sul conto titoli, che mi farà scendere il rendimento netto effettivo a poco più dell’8,50%.

Con queste cifre, diremmo che il BTp 2026 non sarà stato in grado di salvaguardare il mio potere di acquisto. Del resto, di alternative di pari grado di sicurezza e altrettanto remunerative non se ne vedono in giro. Anche tenendo i miei risparmi su un qualche conto deposito, difficile che ottenga più di un paio di punti all’anno di interessi, tra l’altro versando allo stato un’imposta molto più alta di quella gravante sui titoli di stato: 26% contro 12,50%. Quindi, se voglio acquistare il BTp 2026, so che probabilmente non coprirà l’inflazione, ma mi consolerò col fatto che di meglio non vi sarebbe a disposizione per il momento.

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