C’è per caso qualcosa che sfavorisce i ricchi invece dei poveri? A quanto pare, no e anche il riscaldamento globale non fa eccezione. Il cambiamento climatico non colpisce tutti allo stesso modo. Le temperature in costante aumento, le ondate di calore e gli eventi meteorologici estremi stanno ampliando le disuguaglianze sociali, economiche e sanitarie. Secondo uno studio del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), a pagare il prezzo più alto del riscaldamento globale sono proprio le persone con redditi più bassi. Per loro, gli effetti del clima sono più duri e più costosi da affrontare.
La disparità è chiara: per ogni aumento dell’1% del reddito, i danni causati dal clima si riducono dello 0,4%.
In altre parole, chi è più ricco ha più strumenti per proteggersi: può permettersi case meglio isolate, sistemi di raffreddamento, assicurazioni, spostamenti in auto e cure sanitarie adeguate. Chi ha meno, subisce di più e reagisce con maggiore difficoltà.
I più vulnerabili nelle città e nei Paesi in via di sviluppo
Entro il 2050, si prevede che il numero di persone povere che vivranno in città ad alta esposizione a ondate di calore aumenterà del 700%. Il dato, già di per sé allarmante, peggiora se si considera che molte abitazioni urbane nei quartieri popolari sono costruite in modo precario, spesso prive di ventilazione, ombra o accesso a spazi verdi.
Le regioni più colpite restano le aree già economicamente fragili: Africa subsahariana, Asia meridionale e America Latina. In questi contesti, il cambiamento climatico è un moltiplicatore di crisi. L’agricoltura di sussistenza, che garantisce la sopravvivenza a milioni di persone, è direttamente minacciata da siccità e piogge irregolari.
La sicurezza alimentare è compromessa, i prezzi dei beni primari salgono e l’instabilità aumenta.
Riscaldamento globale, una questione di giustizia climatica
Il paradosso è evidente: chi contribuisce meno alle emissioni globali di CO₂ – spesso le popolazioni più povere – è anche chi ne paga le conseguenze peggiori. È da questo squilibrio che nasce il concetto di “giustizia climatica”, ovvero la necessità di affrontare la crisi ambientale tenendo conto delle disuguaglianze preesistenti.
Servono politiche mirate che proteggano le comunità vulnerabili, assicurando infrastrutture resilienti, accesso a tecnologie sostenibili e meccanismi di compensazione per chi subisce danni che non ha causato. Ma serve anche un cambio di paradigma: ridurre le emissioni non basta, bisogna farlo in modo equo.
Adattamento e resilienza: la sfida del riscaldamento globale
L’adattamento ai cambiamenti climatici non può essere lasciato alla sola iniziativa individuale. Gli stati devono investire in sistemi di allerta, migliorare la gestione delle risorse idriche, rendere le città più vivibili e rafforzare la cooperazione internazionale. I fondi per il clima, promessi nei vertici internazionali, devono essere davvero accessibili ai Paesi che ne hanno più bisogno.
Senza un’azione decisa, il riscaldamento globale non solo renderà il pianeta meno vivibile, ma lo renderà anche più ingiusto. Le disuguaglianze che vediamo oggi potrebbero amplificarsi, diventando un fattore di ulteriore divisione, instabilità e conflitto.
I punti più importanti.
- Le persone con redditi più bassi subiscono danni climatici più gravi e con minori possibilità di adattamento.
- Entro il 2050, il numero di poveri urbani esposti al caldo estremo potrebbe aumentare del 700%.
- La giustizia climatica impone interventi equi, mirati e strutturali per evitare che la crisi climatica diventi anche una crisi sociale globale.