Wall Street ieri ha chiuso in forte calo dopo il boom di mercoledì seguito alla sospensione, decisa dal presidente Donald Trump, di 90 giorni per i dazi americani. Si è trattato in parte di ordinario sali e scendi dei mercati, ma c’entra anche il timore degli investitori per il braccio di ferro che si profila tra Stati Uniti e Cina. E quanto sta accadendo in queste settimane sta lasciando sbigottita la finanza mondiale. Non sono soltanto le azioni americane a deprezzarsi. Anche i titoli di stato scendono e offrono rendimenti più alti. Un segnale allarmante per i fondi pensione presso la prima economia mondiale.
Questi gestivano alla fine dello scorso anno asset per quasi 28.000 miliardi di dollari, quasi quanto il Pil.
In calo sia azioni che bond
In effetti, se la reazione immediata ai dazi annunciati da Trump il 2 aprile fu un crollo della borsa americana e un contestuale travaso di capitali in favore dei Treasuries, le cose nelle ultime sedute sono andate diversamente. Il rendimento a 10 anni è risalito fin sopra il 4,50% e mentre il mercato azionario collassava. Questo diventa problematico per un portafoglio d’investimento 60/40, che dovrebbe proteggere l’investitore con un profilo di rischio moderato proprio nelle fasi avverse.
Il portafoglio 60/40 è costituito essenzialmente per il 60% da azioni e per il 40% di obbligazioni. Quando c’è tensione sui mercati e la propensione al rischio si riduce, le prime tendono a scendere e le seconde a salire. Gli investitori vendono azioni e comprano titoli sul mercato a reddito fisso. Almeno parzialmente le perdite vengono così compensate. Ma se capita, come in questo caso, che scendano le une e le altre, le perdite si amplificano.
Il paracadute non si apre, insomma.
Lavoratori americani penalizzati dal crollo di Wall Street
I fondi pensione gestiscono i risparmi dei lavoratori americani e sono in perdita quest’anno. Per Trump può essere un grosso ostacolo nell’implementare la strategia dello scontro ad ogni costo con la Cina. Prima o poi milioni di lavoratori che lo hanno votato, inizieranno a mugugnare. Se è vero che i più giovani possano permettersi di sostenere perdite, avendo un orizzonte temporale lungo davanti, coloro che si trovano a ridosso della pensione avranno paura di non avere questo tempo a disposizione. E le elezioni di medio termine saranno tra poco più di un anno e mezzo. Per allora Trump dovrà aver rimesso le cose a posto, almeno dal punto di vista dei mercati.
Wall Street e Main Street non sono così separati come pensiamo. E i fondi pensione sono l’esempio più fulgido in tal senso. Un altro capo di governo dovette capitolare dinnanzi al crac dei bond e all’impatto negativo che ebbe proprio su questi asset. Era Liz Truss, premier britannica per poche settimane tra settembre e ottobre del 2022. I mercati non le perdonarono il maxi-taglio delle tasse in deficit. Servì l’intervento della Banca d’Inghilterra per evitare che il collasso dei Gilt a 30 anni mandassero KO proprio i fondi pensione.
Si dimise subito dopo.
Fondi pensione fonte di pressing su Trump
La vera domanda di questi giorni è perché i Treasuries si stiano deprezzando, anziché apprezzarsi come dovrebbero per la loro natura di “safe asset”. Il mercato starebbe scontando un aumento dell’inflazione a causa dei dazi, infliggendo perdite sul tratto lungo della curva dei tassi. D’altra parte, è probabile che la Cina abbia scaricato un bel po’ di bond americani in pancia per mandare un segnale alla Casa Bianca. Il resto lo avrebbe fatto la speculazione, unitamente alla necessità per alcuni grossi investitori di ottenere liquidità per potere rimpinguare i margini a garanzia degli investimenti azionari in perdita.
Fatto sta che i fondi pensione non possono andare in rosso troppo a lungo, non dal punto di vista politico. Riguardando il futuro di decine di milioni di lavoratori, un trend negativo spezzerebbe presto la narrazione di Trump per cui la guerra dei dazi sarebbe in favore delle famiglie, pur urtando gli interessi della finanza. Ed è su questo che fanno leva i partner dell’America. Nessuna delle grandi economie ha fretta di negoziare, volendo prima attendere che il crollo dei mercati infligga il sufficiente dolore a consumatori e lavoratori perché facciano pressione essi stessi sulla Casa Bianca per cambiare atteggiamento.
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