La spesa per le pensioni continua a crescere. L’Inps ha certificato che nel 2022 è salita a quasi 318 miliardi, con un incremento di 50 miliardi negli ultimi 5 anni. Per colpa, essenzialmente, delle uscite anticipate in deroga alle regole Fornero.

E le previsioni sono allarmanti con una soglia che raggiungerà i 350 miliardi di euro nel 2025, cioè fra un paio di anni. Più del 16% del Pil, record italiano ed europeo. Un quadro quello sulle pensioni che risulta aggravato dalla mancanza di nuove nascite, ma soprattutto – come ripete da anni l’Inps – da troppo precariato e salari troppo bassi.

Pensioni anticipate addio

In un sistema pensionistico a ripartizione come il nostro, è impensabile concedere ancora spazio alle uscite anticipate che non farebbero che aggravare ulteriormente la situazione. Quindi, scordiamoci Quota 41, così come la proroga di Quota 103 di cui alle indiscrezioni circolate sulla stampa nei giorni scorsi.

Il documento di economia e finanza (DEF) recentemente presentato dal governo non contiene nessuna di queste ipotesi sulle pensioni e nemmeno altre di riforma al sistema pensionistico vigente. E’ dato solo intuire che sarà data più spazio alla flessibilità in uscita. Tradotto: potenziamento di Ape Sociale per quanto concerne i lavoro gravosi.

Fra le varie ipotesi di aggiustamento, ci sarebbe spazio anche per la donne con figli alle quali il ministro del Lavoro Elvira Calderone ha detto di volgere particolare attenzione. Quindi sconti e bonus in arrivo, ma non per tutte probabilmente.

Il ritorno della Fornero

Così, in assenza di colpi di scena, il ritorno della Fornero per tutti senza più deroghe con le pensioni anticipate resta confermato per il 1 gennaio 2024. E non è detto che questo sia sufficiente a salvaguardare i conti dell’Inps. Come ha detto il presidente Pasquale Tridico, senza ulteriori accorgimenti, c’è il rischio di arrivare con un patrimonio negativo di 92 miliardi a fine 2029.

Cosa significa questo? In pratica se la spesa pensionistica continuerà a salire e il Pil non sarà in grado di sostenerla, lo Stato dovrà intervenire con misure straordinarie.

Cioè, innalzando ancora le aliquote contributive dei lavoratori e tagliando ulteriormente le rivalutazioni delle pensioni.

Strada già intrapresa quest’anno e fino al 2024 con l’introduzione di sei fasce reddituali che corrispondono ad altrettante percentuali di perequazione automatica. In altre parole, gli assegni si rivalutano al 100% ogni anno in base all’inflazione solo fino a 5 volte il trattamento minimo. Oltre la percentuale di rivalutazione scende derivandone una penalizzazione.

Non solo. L’età pensionabile è destinata a salire di 2 mesi dal 1° gennaio 2027 al 31 dicembre 2028 per passare a 67 anni e 5 mesi dal 1° gennaio 2029. Rimane bloccata a 67 anni solo fino al 31 dicembre 2026 per effetto della diminuzione dell’aspettativa di vita generale in conseguenza del Covid-19.