Per andare in pensione di vecchiaia occorre aver raggiunto l’età anagrafica di 67 anni. E’ necessario, inoltre, aver versato almeno 20 anni di contributi presso una o più gestioni pensionistiche obbligatorie.

Si tratta di requisiti inderogabili che però potrebbero non essere sufficienti per i giovani lavoratori. Per chi, più precisamente, non ricade anche nel sistema retributivo di liquidazione della pensione. In altre parole, per i lavoratori che hanno iniziato a versare contributi dopo il 1995.

Pensione di vecchiaia, i requisiti non sono uguali per tutti

Per i lavoratori contributivi puri c’è, infatti, un requisito in più da soddisfare per accedere alla pensione di vecchiaia a 67 anni.

Oltre all’età e al numero minimo di contributi (20), è necessario che la rendita a calcolo non sia inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale.

Cosa significa questo? In pratica la legge prevede per questa categoria di lavoratori un ulteriore paletto che limita l’accesso alla pensione se si ha lavorato poco e non si raggiunge di conseguenza la soglia minima dell’assegno.

Oggi questo limite equivale a 754,90 euro al mese, posto che l’assegno scoiale vale 503,27 euro. Cifra che potrebbe essere facilmente raggiungibile con parecchi anni di contribuzione alle spalle. Ma che diventa difficile nel sistema contributivo puro se ci sono carriere discontinue o retribuite in maniera inadeguata o ridotta, come il part time.

L’alternativa è quella di attendere il compimento dei 70 anni di età quando il vincolo della pensione non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale viene meno. Certo, però, che anche la rendita sarà pagata tre anni più tardi.

Quanti contributi servono

La domanda che a questo punto ci si pone è: quanto bisogna aver lavorato per andare in pensione a 67 anni? Ebbene, con le attuali regole in vigore il calcolo da fare è abbastanza semplice partendo dal montante contributivo. Ovviamente se si tratta di lavoratori che ricadono totalmente nel sistema contributivo.

Per ottenere una pensione di 755 euro al mese occorre aver versato almeno 165 mila euro. Cifra opportunamente rivalutata nel tempo e quindi effettiva al momento della domanda di pensione. Sulla base di questo montante e tenuto conto del coefficiente di trasformazione, si ottiene una rendita sufficiente a superare lo scoglio dell’importo minimo.

Attenzione, però, perché l’inflazione potrebbe mettere i bastoni fra le ruote. Rivalutandosi l’assegno sociale, sale anche la sogli minima prevista dalla legge. E il montante contributivo potrebbe non apprezzarsi di pari passo. Quindi è sempre bene considerare un ampio margine di rendita per non incorrere in brutte soprese al momento della domanda di pensione.