L’azienda di famiglia per molti giovani oggi è una garanzia per evitare la disoccupazione ma per altri è una gabbia in cui non volersi chiudere, soprattutto se i rapporti con i genitori sono difficili o se l’attività non è nelle proprie corde. E la legge non può imporre di seguire le orme dei genitori “ricattando” i figli con la perdita del diritto al mantenimento. Su questo caso particolare è intervenuta la Cassazione con una sentenza recentissima che conferma il diritto al mantenimento a favore del figlio maggiorenne ma non autosufficiente economicamente che rifiuta l’offerta di lavoro del padre nell’azienda di famiglia.

Una sentenza che arriva in un momento in cui il tema è di grande attualità anche per via dell’innalzamento della soglia entro cui considerare i figli a carico dal punto di vista fiscale.

Si può obbligare il figlio universitario a lavorare nell’azienda di famiglia

Il Tribunale di Parma aveva dato ragione al padre in merito alla “colpevole inerzia” del giovane ma i giudici della sesta sezione civile della Suprema Corte hanno rigettato il ricorso dell’uomo partendo dal principio che “il mantenimento non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età ma perdura immutato finchè il genitore interessato non provi che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica o rifiuti ingiustificatamente di cogliere le occasioni ordinarie per raggiungere la propria indipendenza” e aggiungendo, per quanto concerne il caso specifico, che “l’inserimento di un figlio ancora studente universitario, di giovane età, in un universo produttivo-aziendale di cui sia titolare lo stesso genitore, che con lui sia in conflitto, cessa di essere un’occasione lavorativa ordinaria e si trasforma, più propriamente, in una fase della dialettica genitore-figlio, non potendo assumere il significato di un ordinario inserimento lavorativo, sicchè esso, come tale, non testimonia né’ di un inserimento stabile nel mondo del lavoro né di un suo problematico approccio ad esso”.