I titoli del comparto bancario a Piazza Affari sono saliti di quasi il 20% quest’anno, attestandosi sopra i 9.300 punti. Ma se guardiamo al loro andamento negli ultimi anni, il quadro che emerge resta sconfortante. Rispetto a 10 anni fa, il calo accusato è ancora dei due terzi, mentre anche in raffronto ai picchi toccati nell’estate del 2015 si ottiene un -50%. E bisogna tornare proprio a 4 anni fa per capire le ragioni di questo mancato rimbalzo, quando sono trascorsi ormai oltre 11 anni dal crac di Lehman Brothers.

Era il novembre 2015, quando Tesoro e Banca d’Italia salvavano quattro banche minori, applicando preventivamente la disciplina del “bail-in”, cioè coinvolgendo nelle perdite gli azionisti e gli obbligazionisti.

Crisi banche italiane, se l’Europa riscrive la storia dopo avere aumentato i danni

Di lì in poi, il contagio. Le banche italiane scesero ai nuovi minimi a inizio 2016, scontando nuovi salvataggi necessari per evitare la chiusura di istituti maggiori, come la Popolare di Vicenza, Veneto Banca e MPS. Nei mesi successivi, le preoccupazioni lambirono Genova con Carige. Qual è il problema con le nostre banche? Risentono del cattivo andamento dell’economia italiana e hanno dovuto fronteggiare elevate percentuali di inadempienze, le quali hanno toccato negli anni passati il picco del 20%. Un credito su cinque risultava andato in malora, adesso il rapporto è scesa a circa 1 su 25, ma solo perché nel frattempo sono state effettuate cessioni di cosiddetti NPL a veicoli esterni, così da fare pulizia dei bilanci.

Circa i tre quarti delle cessioni effettuate nell’Eurozona nell’ultimo triennio sono avvenute in Italia, qualcosa come 82 miliardi di euro al 30 giugno scorso. Le cessioni, però, hanno un costo per chi le realizza: infliggono ulteriori perdite, perché avvengono a prezzi inferiori (e anche di molto) a quelli di iscrizione a bilancio, per cui le banche si trovano costrette a effettuare ulteriori svalutazioni, stavolta a titolo definitivo.

Ancora oggi, i crediti risulterebbero mediamente iscritti a quasi il 46% del loro valore originario, percentuale più che doppia rispetto ai prezzi di cessione effettivi.

NPL, BTp, tassi ed economia

In sostanza, non è inverosimile che le banche debbano ancora registrare perdite per altri 15-20 miliardi, una frazione elevata dell’attuale loro valore complessivo di capitalizzazione in borsa. E il problema al riguardo lo pone anche l’Europa, con richieste esplicite e codificate dalla Vigilanza BCE di accelerare lo smaltimento degli NPL. A ciò si aggiungono i 400 miliardi di euro di titoli di stato italiani detenuti dalle nostre banche, i quali incidono negativamente per una buona parte per via del loro andamento altalenante sui mercati. E anche in questo caso, i segnali che arrivano da Bruxelles e Francoforte vanno nella direzione di limitare le esposizioni degli istituti ai bilanci sovrani. Se così fosse, le banche italiane perderebbero da un lato un’opportunità di investimento sicura e remunerativa, dall’altro subirebbero perdite potenziali in conto capitale dalla vendita forzata e in tempi brevi dei BTp.

Se le banche italiane dovranno vendere BTp sarà un disastro

Su tutto, comunque, resta la debolezza cronica dell’economia italiana sullo sfondo di una realtà creditizia caratterizzata dai tassi negativi. Le banche italiane non riescono, similmente a quelle del resto d’Europa, a maturare margini sufficienti sui prestiti erogati, dati i bassissimi interessi imperanti in questa lunga fase di accomodamento monetario. In più, ci sono i più alti crediti inadempiuti rispetto alla media europea, che si teme possano tornare a salire con l’eventuale ingresso dell’Italia in recessione.

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