Chi ha ragione la grande industria alimentare o la televisione in questo strano conflitto che le attraversa? Hanno suscitato scalpore, negli ultimi tempi, le puntate del programma ‘Indovina chi viene a cena’, che rappresenta una sorta di Report (cinismo incluso) dedicato al mondo dell’alimentazione. Da più parti – e proprio da quella della grande industria – sorgono critiche a quello che è stato definito – in maniera eccessivamente enfatica – il ‘terrorismo della disinformazione alimentare’: acquistare e consumare prodotti industriali sarebbe il male assoluto, oltre il fatto che praticamente ogni prodotto della filiera industriale farebbe ‘male’, dai latticini alla carna, passando anche per ortaggi e verdura.

Centromarca, l’associazione italiana delle ‘marche’, ha prodotto uno studio nel quale tenta di demolire la costruzione linguistica e retorica di quella che viene definita disinformazione. I risultati sono davvero interessanti.

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L’inchiesta di Centromarca e l’attacco alla disinformazione alimentare della televisione (e non solo)

Centromarca ha deciso di lanciare una vera e propria crociata contro la disinformazione alimentare televisiva in Italia. Si è notato – partendo dai presupposti della ricerca – che, a partire dall’Expo, i programmi televisivi incentrati su temi alimentari avrebbe preso una deriva anti-industriale: sarebbe partita la guerra santa contro i prodotti di largo consumo e industriali. La ricerca analizza quello che viene definito ‘pregiudizio’ e l’orientamento culturale soggettivo dell’autore che pre-orienta l’andamento della riflessione: a condire tutto un po’ di allarmismo e sensazionalismo che vanno sempre di moda e fanno share. Lo studio è interessante nella misura in cui analizza i dispositivi che questi programmi mettono in campo:

  • musiche suggestive quando si parla di natura e drammatiche quando si parla di industria
  • associazioni di idee attraverso le immagini: se si parla di industria si mostra lo sporco, gli insetti, l’inquinamento; se si parla di natura, colori, belle giornate e fiori
  • associazioni di idee attraverso associazioni di parole: la filiera industriale va dalla chimica, al veleno, al cancro, alla morte; quella naturale va dal biologico, ai benefici, alla salute, alla vita
  • utilizzazione di stereotipi: contadino=buono; multinazionale=cattivo; bio=qualità; chimica=inquinamento=cancro; naturale=salutare

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Ma dov’è la verità? Ancora sulla disinformazione alimentare

Il problema di fondo riguarda, al di là delle ricerche di Centromarca che, sulle forme comunicative, possono essere anche interessanti, la sempre maggiore consapevolezza su una serie di elementi che riguardano la produzione alimentare a carattere industriale. Al di là di quello che si possa pensare sul consumo di carne, è chiaro che la carne prodotta industrialmente da un lato porta sofferenze atroci agli animali, dall’altro, con l’utilizzazione massiccia di antibiotici e altre sostanze chimiche, inquina irrimediabilmente la carne che mangiamo. Lo stesso dicasi per frutta e verdura: quanti di noi notano sapori sempre meno definiti in quel che si mangia? Un altro aspetto: si sa benissimo – parlando sempre di carne – che si tratta della produzione alimentare che sconvolge maggiormente gli equilibri ambientali del pianeta: con un’umanità sempre in crescita dal punto di vista demografico, il consumo di carne dovrà necessariamente diminuire.

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La grande industria alimentare dovrebbe cogliere questi fenomeni: la maggiore sensibilità verso le altre forme viventi; l’insostenibilità della produzione di certi prodotti alimentari; la possibilità di diversificare il proprio intervento. È anche vero che molti programmi non presentano contraddittorio e mostrano espedienti retorici eccessivi, ma è altrettanto vero che la grande industria deve iniziare a fare i conti con una sempre maggiore informazione da parte della cittadinanza globale.