La vincitrice a sorpresa delle elezioni primarie del Partito Democratico (PD), Elly Schlein, promette una rivoluzione capace di riconciliare dirigenti e militanti. Qualcuno definisce l’elvetico-emiliana con cittadinanza anche statunitense come emblema della “gauche caviar” o anche la tipica rappresentante dei “comunisti col rolex”. Comunque la si pensi, il programma del PD cambierà sotto la nuova segreteria. Di quanto dipenderà dalla capacità della nuova leader di tenere unite le istanze diverse dentro il partito. La sua non è stata una vittoria travolgente.

Dovrà tenere conto del 46% che ha votato per Stefano Bonaccini. Sono tante le proposte all’insegna della discontinuità avanzate durante la campagna per le primarie. Le più salienti riguardano il mondo del lavoro. Schlein propone l’abolizione del Jobs Act e l’introduzione del salario minimo.

Salario minimo e fine Jobs Act

Il Jobs Act rappresenta una delle ultime “scorie” di renzismo dentro il PD. Votato dal Parlamento nel 2014, di fatto abrogò l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per i primi tre anni dalla data di assunzione. E incentivò le assunzioni tramite la decontribuzione. Schlein punta a cancellarlo anche nella parte in cui agevola l’uso dei contratti a termine. Già rimaneggiati con il decreto “Dignità” del primo governo Conte e rivisti in chiave più flessibile con il governo Draghi, la neo-segretaria vorrebbe limitarne l’adozione e renderli più costosi dei contratti a tempo indeterminato.

Va detto che sul punto non c’erano grosse differenze programmatiche con il programma di Bonaccini. Anche il governatore emiliano prometteva di rendere più costose le assunzioni a tempo. C’è, come dicevamo, la proposta sul salario minimo. E’ diventato da anni uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle, con cui Schlein vorrebbe fare fronte comune in Parlamento per strappare livelli minimi per le retribuzioni orarie dei lavoratori. I “grillini” avevano depositato nella scorsa legislatura una proposta di legge per fissare a 9 euro l’ora il salario minimo.

Non se n’è fatto nulla. Il PD, che a parole era favorevole, ha preferito porre un freno all’iniziativa per non scontrarsi con le parti sociali.

Non c’è solo il salario minimo quale tratto caratterizzante del programma Schlein. La vincitrice delle primarie è favorevole al reddito di cittadinanza, pur rivisto secondo le indicazioni della Commissione Saraceno. Pare di intendere che punti ad estendere il sussidio agli immigrati – e l’Unione Europea ha da poco messo in mora l’Italia sul punto – e a consentire ai beneficiari di cumulare maggiormente redditi da lavoro con l’assegno mensile percepito. Agli immigrati, poi, Schlein guarda particolarmente con la volontà di approvare lo “ius soli”, una legge che concederebbe la cittadinanza a tutti coloro che sono nati in Italia e non per diritto di sangue.

Programma PD: tasse green e patrimoniale

Come finanziare alcune delle iniziative di cui sopra? Schlein è un’ambientalista e in quanto tale vorrebbe abbattere le emissioni inquinanti anche tramite l’introduzione di tasse “green”. In primis, sarebbero eliminati i sussidi “dannosi per l’ambiente” e poi le emissioni di CO2 sarebbero sottoposte a tassazione, secondo il principio del “più inquini e più paghi”. Come questa misura si tradurrebbe nel concreto lo vedremo prossimamente. Esiste già un meccanismo simile applicato dall’Unione Europea a oltre 11.000 aziende del continente, attraverso l’assegnazione di quote di CO2 scambiabili sul mercato degli ETS. Evidentemente, Schlein estenderebbe questa forma di imposizione alle altre attività finora rimaste scoperte.

E la patrimoniale? Rientra anch’essa nel programma schleiniano. “Chi più ha, deve contribuire maggiormente” alla fiscalità generale. Si ribadisce un principio cardine della sinistra, del tutto contrapposto a quello della “flat tax”. Resta da vedere quale imposta sarebbe incrementata e a partire da quali redditi.

Già Enrico Letta aveva paventato l’introduzione di una imposta sui patrimoni per finanziare la “dote ai diciottenni”. Non è certo un tabù a sinistra, anzi. Semmai con questa impostazione il PD getta il cuore oltre l’ostacolo e si allontana definitivamente dal centro, a favore di una svolta radicale in senso progressista.

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