Le banche italiane detengono crediti deteriorati per quasi 360 miliardi di euro, pari a quasi un quinto del totale degli impieghi. Se considerassimo, poi, i soli prestiti alle famiglie e alle imprese, l’incidenza salirebbe a oltre il 25%. In altra parole, più di un credito su 4 in Italia risulta scaduto, incagliato, ristrutturato o in sofferenza. Le sofferenze bancarie sono le più problematiche, in quanto a maggiore rischio rimborso. Secondo gli ultimi dati disponibili e risalenti al mese di novembre scorso, esse ammontano a 201 miliardi di euro, di cui 88,8 miliardi sarebbero al netto delle svalutazioni, ovvero al valore della presumibile riscossione, iscritto dalle banche a bilancio.

Si consideri che le sofferenze nette valevano appena 13 miliardi nel 2007, prima della crisi finanziaria, ovvero quasi 6 volte in meno. E quelle lorde erano ancora a 104,3 miliardi nel 2011, anno di inizio della crisi del debito sovrano.

Grandi imprese responsabili dei 4/5 delle sofferenze

La Cgia di Mestre ha sfornato nuovi dati, grazie ai quali abbiamo un’idea più precisa di chi siano i “cattivi pagatori” delle banche.  Sabbiamo che le grandi imprese rappresentano l’80% del credito complessivamente erogato alle società non finanziarie, nonostante siano appena l’1% del totale. Ebbene, a fronte di tanta fiducia, esse sarebbero oggi responsabili del 78% dei crediti sofferenti, mentre il restante 99% delle imprese detiene il restante 22% dei debiti a rischio. Per dirla un po’ con le parole di Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi dell’istituto, le grandi imprese hanno ottenuta grande fiducia, ma dimostrano di averla meritata poco, mentre quei soggetti considerati maggiormente a rischio – i piccoli imprenditori – risultano oggi molto più sicuri di loro. Potremmo affermare che anche questa vicenda metterebbe a nudo i mali di un capitalismo relazionale, dove il merito creditizio è legato spesso più alla conoscenza diretta degli interessati che non a un’analisi attenta dei bilanci delle società. Peggio: le partecipazioni incrociate inquinano la bontà delle valutazioni, perché è difficile che una banca, dove siede nel cda il rappresentante di una determinata azienda, abbia realmente gli anticorpi per evitare che quest’ultima ottenga credito a condizioni di favore rispetto alle altre clienti o senza averne nemmeno i requisiti sufficienti.

    [tweet_box design=”box_09″ float=”none”] Banche italiane vittime del loro sistema di relazioni: han prestato soldi ad amici, che non li meritavano   [/tweet_box]      

Riscossione crediti sopravvalutata nei bilanci bancari

Tornando ai numeri, le società non finanziarie sarebbero responsabili di 153,7 miliardi di sofferenze lorde, di cui 65 miliardi assistiti da garanzie reali (ipoteche). Di queste, 43 miliardi riguardano uno dei comparti più colpiti dalla crisi economica, l’edilizia, a fronte di garanzie per 23,7 miliardi. Per il resto, le famiglie consumatrici mostrano sofferenze per 33,9 miliardi, di cui 20,2 garantiti da ipoteche. Di questa somma, 14 miliardi sono attinenti ai mutui. Infine, 15,6 miliardi sono le sofferenze delle famiglie produttrici (imprese familiari), di cui 7,6 miliardi garantiti da ipoteca.

Garanzie ipotecarie non sufficienti a giustificare valori a bilancio

Queste cifre ci dicono che quasi circa il 46% delle sofferenze lorde, ovvero 93 miliardi, risultano garantiti da ipoteca, 4 miliardi in più del valore di iscrizione di tali crediti nei bilanci bancari. Ipotizzando che i debitori non restituissero alcunché alle banche e che queste fossero costrette a recuperare i crediti con azioni giudiziarie, al lordo dei costi queste incasserebbero quei suddetti 93 miliardi. Ma ciò vale in teoria, perché bisogna mettere in conto le elevate spese relative alle azioni legali contro imprese e famiglie inadempienti, nonché alla perdita di valore di mercato degli immobili concessi in garanzia. Tutti sappiamo, ad esempio, che a fronte di un immobile dal valore commerciale di 100.000 euro e ipotecato da una banca, all’asta giudiziaria si determina un prezzo di vendita di gran lunga inferiore, anche più che dimezzato.

Senza giri di parole, è evidente che gli 89 miliardi iscritti a bilancio risultano una sovrastima della sofferenze, al netto delle svalutazioni.     [tweet_box design=”box_09″ float=”none”] Le banche incasseranno meno delle attese dai crediti sofferenti, nuove perdite in vista   [/tweet_box]        

Dove si trovano i debitori morosi

Quanto al numero dei cattivi pagatori coinvolti, ammontano a 1,24 milioni di persone, di cui 758.000 di queste hanno debiti per un valore compreso tra i 250 e i 30.000 euro. Ma per capire come il grosso del problema sia concentrato nelle mani di pochi basti un dato: meno di 6 mila debitori devono rimborsare alle banche importi medi superiori a 5 milioni di euro a testa per complessivi 67 miliardi. Analizziamo adesso la ripartizione territoriale del problema: le sofferenze rappresentano l’11% degli impieghi, ma al Sud schizzano al 16,1%. La regione più esposta è il Molise (20,7%), seguita dalla Basilicata (19,7%), ma nemmeno Marche e Umbria non se la passano affatto bene, possedendo crediti sofferenti in rapporti agli impieghi rispettivamente per il 19,1% e il 16,5%. Le più virtuose appaiono Trentino-Alto-Adige, Valle d’Aosta e Lazio. La prima con un tasso inferiore all’8%, le altre a meno del 7%. Cambia il quadro, se si guarda ai valori assoluti: prima è la Lombardia con 41,4 miliardi, seguita dal Lazio con 24,2 miliardi e Veneto con 20. Il Nord-Est risulta anche l’area del paese ad avere subito la maggiore crescita delle sofferenze tra il 2011 e il 2015, +102,2% contro il +93% medio nazionale, portando all’11,8% degli impieghi, poco al di sopra della media.   [tweet_box design=”box_09″ float=”none”] Basterebbe chiedere conto alle grandi imprese per smaltire le sofferenze bancarie   [/tweet_box]