Il day-after somiglia più a un “big bang” dentro al Partito Democratico. Se l’ex ministro dell’Istruzione, Beppe Fioroni, toglie il disturbo sentendosi ospite indesiderato, i mugugni già si moltiplicano. Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, minaccia di andarsene se la nuova segretaria Elly Schlein cambia la linea del partito sull’Ucraina. E Debora Serracchiani è pronta a dimettersi da capogruppo alla Camera. I cosiddetti “riformisti” temono di trasformarsi in una corrente minoritaria e insignificante. Il nuovo corso è più di sinistra che mai, all’insegna del “tassa e spendi” di matrice post-comunista.

Marcia indietro su lavoro e pensioni

Schlein vuole smantellare una ad una tutte le misure approvate dal PD nelle passate legislature e che erano diventate sue bandiere. La demolizione del Jobs Act è eloquente. Simbolo del renzismo, dell’apertura all’impresa, di un modo “moderato” di intendere il mercato del lavoro, era stato già sconfessato da Enrico Letta in piena campagna elettorale l’estate scorsa. Schlein vuole abolirlo. Basta contratti a tempo determinato e, nei casi limitati in cui sarebbero consentiti, dovrebbero essere tassati di più. E c’è anche la proposta del salario minimo, del tirocinio obbligatoriamente retribuito, nonché della settimana corta di 4 giorni.

Non meno imbarazzante per il PD il cambio di linea a 180 gradi sulle pensioni. Stop alla legge Fornero. Serve per Schlein una pensione di garanzia a favore dei precari. Pollice su per Opzione Donna. Come spiegare alla base, cresciuta (con non poca supponenza) nell’ultimo decennio a pane e Fornero, che gli avversari avessero ragione a criticare quella riforma delle pensioni?

Più tasse su redditi e patrimoni

Bisogna anche aumentare i finanziamenti a favore della sanità e al contempo estendere i sussidi contro la povertà come il reddito di cittadinanza. Le fonti di finanziamento? Nel programma di Schlein non mancano. Anzitutto, più tasse “ecologiche” per disincentivare le imprese ad inquinare.

E poi c’è la ricerca di una maggiore progressività delle imposte, che in parole spicciole significa aumentare le aliquote IRPEF più alte. Peccato che già arrivino al 43% sopra 50.000 euro lordi all’anno. Non è finita. Aleggia aria di patrimoniale dalle parti del Nazareno, quantomeno sotto forma di un aumento dell’imposta di successione? Franchigie più basse e aliquote più alte, sostiene la neo-segretaria, al fine di portarci ai livelli medi europei. E in un’ottica di redistribuzione della ricchezza, serve stangare di più i “grandi patrimoni”.

C’è anche la classica lotta all’evasione fiscale. Come? Ovviamente, aumentando la tracciabilità dei pagamenti, cioè andando sempre più verso un sistema di pagamenti digitali e abbandonando il contante. Infine, no alle trivelle e aumento degli stipendi per gli insegnanti. Nulla di tutto questo è realmente innovativo nel programma economico del PD. La differenza con il passato, cioè con l’altro ieri, sta nel fatto che adesso Schlein non solo non edulcora tali proposte, ma le rimarca per segnalare all’elettorato che la sinistra “tassa e spendi” del “glorioso” passato (post-)comunista è tornata. E stavolta non ha alcuna intenzione di giungere a compromessi con riformisti o presunti tali.

Riformisti con Schlein messi alla porta

Già, i riformisti. La convivenza tra le due anime nel centro-sinistra non è mai stata pacifica. Anzi, non è mai stata possibile al governo. Ne sa qualcosa l’ex premier Romano Prodi, che lancia il suo appello a Schlein proprio per incoraggiarla a tendere la mano ai riformisti. Tuttavia, mai come dopo le primarie di domenica scorsa la loro presenza nel PD sembra persino ufficialmente sgradita. Se da un lato, il fatto che il partito si trovi all’opposizione lo aiuterebbe a ritrovare un minimo di unità, dall’altro l’assenza di responsabilità di governo rischia di farne esplodere le correnti.

Per personalità come Carlo Cottarelli non ci saranno spazi nel nuovo corso di Schlein. Per coloro che hanno spostato a “destra” la linea programmatica o ne hanno interpretato l’anima negli ultimi anni, la porta sarà aperta. Per uscire. La giovane segretaria sa che alle primarie ha ribaltato clamorosamente il responso dei circoli per la novità che rappresenta contro la “mutazione genetica” dell’ultimo decennio. Questo implica la necessità di non cedere ai facili compromessi, su cui si regge, però, il “modus” vivendi dei democratici.

Nel partito si respira aria di revanchismo a sinistra dopo gli anni “bui” del renzismo. Anche allora i dirigenti più progressisti furono accompagnati alla porta senza troppi complimenti. Con la notevole differenza che la linea sposata per puro opportunismo dalla stragrande maggioranza dei vertici PD risultava vincente, specie avendo contro un centro-destra ancora tramortito dalla fine del berlusconismo. Schlein sta percorrendo la strada opposta, legittimamente. Ma non ci sarà spazio per le posizioni di quanti si sono identificati con il PD di questi anni, credendo ingenuamente che fosse diventato una nuova Dc capace di tenere assieme finanza, grande industria, ceto medio, lavoratori e classi più disagiate.

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