La reazione al taglio della produzione di petrolio da parte dell’OPEC non ha scosso più di tanto il mercato obbligazionario europeo. Lo spread si è mantenuto pressoché invariato e persino in leggero calo rispetto al venerdì scorso, mentre i rendimenti dei titoli di stato italiani sono saliti lungo la curva di poco. Ma il costo del debito pubblico è già esploso nell’ultimo anno. Lo spiegano nitidamente i dati mensili del cosiddetto Rendistato della Banca d’Italia. Segnalano il rendimento medio ponderato dei bond in circolazione sul mercato.

A marzo, ulteriore salita al 3,861% dal 3,804% di febbraio. Per trovare un dato più alto dobbiamo tornare indietro di oltre dieci anni, per l’esattezza al 3,90% del novembre 2012.

Boom spesa per interessi

Il Rendistato non ci fornisce una misura immediata del costo del debito pubblico italiano. E per la semplice ragione che lo stock non viene emesso tutto in una volta. In media, trascorrono più di sette anni per rinnovare tutti i titoli in scadenza. Ma facciamo finta che il dato di marzo effettivamente ci indichi il costo del debito pubblico oggi. Considerato che a gennaio questo risultava pari a 2.756,5 miliardi di euro, quel 3,86% equivale a una spesa per interessi nell’ordine dei 106,4 miliardi. Un anno prima, cioè nel marzo 2022, il Rendistato ci segnalava un costo sul mercato dell’1,194%. Allora, a parità di debito pubblico da servire, avremmo speso meno di 33 miliardi.

In altre parole, in un solo anno la spesa per interessi potenziale è esplosa di 73,5 miliardi. In pratica, ai costi medi di un anno fa, avremmo speso una cinquantina di miliardi in meno rispetto al costo effettivo registrato dal debito pubblico nell’intero 2022. Al contrario, oggi spenderemmo sui 23,5 miliardi in più. A cos’è stato dovuto questo boom? E’ l’effetto del rialzo dei tassi d’interesse. La Banca Centrale Europea (BCE) iniziò la stretta monetaria nel luglio dello scorso anno, quando i tassi di riferimento salirono da 0 a 0,50%.

A marzo, sono stati portati al 3,50%. In pratica, +3,50% in otto mesi. Misura necessaria per cercare di battere l’inflazione, che nell’autunno scorso era in doppia cifra nell’Area Euro.

Sollievo per debito pubblico con taglio tassi BCE

Quei 106 miliardi e rotti di spesa per interessi potenziale corrisponde all’1,2% del PIL in più di quanto pagato nel 2022. Questo significa che, per mantenere invariato il rapporto tra spesa per interessi e PIL ai livelli del 2022, il PIL dovrebbe crescere di oltre il 27% in termini monetari entro 7-8 anni. Non impossibile con un’inflazione almeno attorno al target BCE del 2%. Ma bisogna considerare che nel frattempo lo stock continuerà a salire per effetto degli ulteriori disavanzi fiscali accumulati dall’Italia. E questo, a sua volta, farà lievitare la spesa per interessi. Inoltre, il dato evidenzia come la stretta sui tassi stia deteriorando le condizioni di mercato in cui rifinanziamo il nostro ingente debito pubblico.

Per fortuna, esistono elevate probabilità che i rendimenti sovrani scendano nei prossimi anni. I tassi d’interesse saranno verosimilmente ritoccati ancora all’insù da qui all’estate, dopodiché si stabilizzeranno. Secondo le previsioni del mercato, un primo taglio dei tassi arriverebbe nella seconda metà dell’anno prossimo. E nel caso in cui le condizioni macro dovessero peggiorare, non possiamo escludere che arrivi già entro quest’anno. In ogni caso, è molto difficile che quel 3,86% di marzo resti tale nel medio-lungo periodo. Certo, non torneremo forse agli zero virgola del periodo pandemico, ma un calo sembra lo scenario di base. E questo farà scendere la spesa per interessi. Al fine di dare sollievo ai conti pubblici, ci servirebbe che il rendimento medio ponderato fosse inferiore al 3%. Solo in quel caso, il debito pubblico ci costerebbe meno del 2022 in relazione al PIL.

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