Approvato il Documento di economia e finanza (DEF) per il triennio 2023-2025, si tirano i conti dei primi provvedimenti di politica economica del governo Meloni. Tre miliardi di euro saranno destinati al taglio del cuneo fiscale, una misura che dovrebbe favorire le assunzioni di lavoratori, cioè creare nuova occupazione nelle intenzioni della maggioranza di centro-destra. Sulle pensioni, invece, non sono ancora arrivate novità. C’era molto attesa per una riforma da tempo promessa dalla Lega per consentire ai lavoratori di accedere a una ulteriore forma di pensione anticipata: Quota 41.

In pratica, potrebbero lasciare il lavoro con 41 anni di contributi versati, indipendentemente dall’età anagrafica. Il problema è che costerebbe 4,3 miliardi di euro solo il primo anno e a regime 9 miliardi all’anno. Troppi. Parliamo di mezzo punto di PIL in un paese che già spende fin troppo per il capitolo previdenza, figurando insieme alla Grecia in cima alle classifiche mondiali.

Per questo il governo frena. La premier Giorgia Meloni non vuole incorrere né in una sanzione dei mercati finanziari per un provvedimento percepito “spendaccione”, né in litigi con la Commissione europea mentre si discute a Bruxelles di riformare il Patto di stabilità. Immaginatevi la gioia dei tedeschi nel negoziare maggiore flessibilità sui conti pubblici con un paese che continua ad aumentare la spesa per le pensioni con le nascite ai minimi storici e la popolazione in calo. In prospettiva, da qui a metà secolo avremo un pensionato per ogni dipendente. Invertire la tendenza sarà difficilissimo. Ammesso che le politiche di sostegno alla natalità si rivelino immediatamente e pienamente efficaci, occorreranno almeno 20-25 anni per toccare con mano i primi risultati in termini di aumento della popolazione in età lavorativa.

Quota 103 al posto di Quota 41

Ed ecco che Quota 41 scompare dai radar per lasciare il posto a Quota 103. La misura esiste già e rimpiazza Quota 102 per quest’anno, la quale a sua volta aveva rimpiazzato l’anno scorso Quota 100.

Facciamo una breve sintesi: nel triennio 2019-2021, i lavoratori sono potuti andare in pensione con 62 anni di età e 38 anni di contributi. Poiché la misura costava troppo, per il 2022 il governo Draghi decise di non prorogarla, rimpiazzandola con Quota 102: in pensione con 64 anni di età e 38 anni di contributi. Per il 2023 è in vigore Quota 103: in pensione con 62 anni di età e 41 anni di contributi. Fino al raggiungimento dell’età pensionabile di 67 anni, il beneficiario potrà percepire un assegno mensile lordo massimo di circa 2.840 euro al mese, cioè cinque volte il trattamento minimo. Dopodiché, se più alto, l’assegno sarà erogato per intero. Fino ad allora, poi, l’assegno non sarà cumulabile con redditi da lavoro.

Quota 103 costa poco per il semplice fatto che la platea dei potenziali beneficiari è striminzita. Tra l’altro, gli over 60 con tanti anni di contributi hanno potuto già beneficiare del sistema delle quote negli anni passati per andare in pensione. Poiché Quota 103 scade il 31 dicembre di quest’anno, entro quella data si dovrà trovare un’alternativa. Ma il governo Meloni punta sull’occupazione e non sulle pensioni. Pertanto, ammainate le bandiere di partito è assai probabile che la misura sia prorogata per il 2024, in attesa di una riforma della previdenza più complessiva.

Pensione anticipata, già diverse soluzioni esistenti

Quanto sta accadendo in Francia, invita l’esecutivo a mostrarsi prudente. Crea in Europa un clima politico avverso a provvedimenti dispendiosi a favore delle pensioni. Emmanuel Macron avrebbe gioco facile a battere i pugni a Bruxelles. Affermerebbe di essersi sobbarcato il peso dell’estrema impopolarità e dello scontro sociale, mentre qualche altro paese va irresponsabilmente nella direzione opposta. Dunque, o sarà Quota 103 o qualcosa che costi non di più. Chi sogna di lasciare il lavoro con largo anticipo sui 67 anni ufficiali, dispone già di un ventaglio di soluzioni come Opzione Donna, Ape Social, la pensione anticipata e Quota 41 per i soli lavoratori precoci e per i contributi puri.

Di più non è onestamente possibile immaginare di fare.

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