La banche centrali ostentano sicurezza e sussurrano dolcemente ai mercati che “non c’è niente da vedere”, di stare tranquilli. La crisi delle banche non esiste, sarebbero stati solo episodi isolati. Poi vien giù Credit Suisse, una delle banche sistemiche più grandi al mondo, e la narrazione scricchiola. La Svizzera è costretta ad intervenire con 109 miliardi di franchi, più altri 100 miliardi che non si sa mai possano servire. Un conto salatissimo per lo stato alpino. A porte chiuse, l’umore dei banchieri centrali è tutt’altro che splendido.

Mentre si trovano costrette a continuare ad alzare i tassi d’interesse contro l’alta inflazione, già devono fare passi indietro alla svelta sul Quantitative Tightening. E anche stavolta la Banca Centrale Europea (BCE), arrivata tardi sul punto, rischia l’ennesima figuraccia fantozziana.

Il bilancio della Federal Reserve, la banca centrale americana, parla chiaro. In due settimane di crisi delle banche, i suoi asset sono aumentati di 391,5 miliardi di dollari: +297 miliardi solo nella prima settimana e quasi 95 miliardi nella seconda. E così il bilancio dell’istituto è tornato ai livelli di ottobre. In due settimane è stato cancellato il Quantitative Tightening effettuato in cinque mesi. Se considerate che il massimo storico raggiunto fu nell’aprile dello scorso anno a 8.965 miliardi, ci erano voluti undici mesi per ridurre gli asset di circa 625 miliardi. Il ritmo era stato di neppure -57 miliardi al mese. Dall’8 al 22 marzo, invece, gli asset sono aumentati a +196 miliardi alla settimana.

Quantitative Tightening ucciso in culla

Per Quantitative Tightening s’intende la riduzione degli attivi iscritti a bilancio delle banche centrali. Essi sono essenzialmente obbligazioni e prestiti diretti alle banche. Dopo la crisi del 2008, gli istituti aumentarono in misura abnorme i rispettivi bilanci, a seguito degli interventi a sostegno delle economie nazionali. Prima del crac di Lehman Brothers, la FED deteneva neppure 910 miliardi di dollari a bilancio, pari al 6% del PIL USA.

L’anno scorso, la percentuale saliva al 35%. Ancora peggio nell’Area Euro, dove il bilancio della BCE vale attualmente il 60% del PIL.

L’inversione di tendenza di queste settimane è dovuta alla necessità della FED di tornare a iniettare liquidità alle banche americane e a rastrellare almeno obbligazioni coperte da garanzia ipotecaria sui mercati. La BCE ha avviato il Quantitative Tightening solamente a inizio mese, ironia della sorta una settimana prima che scoppiasse il finimondo con Silicon Valley Bank. Francoforte ha in programma di tagliare i riacquisti dei bond in scadenza di 15 miliardi di euro al mese fino a giugno. Successivamente, l’importo sarà rivisto sulla base delle necessità.

Ma il collasso di alcune banche segnala che il sistema del credito non può fare a meno della liquidità a fiumi degli anni passati. Ne è diventato dipendente. E la fine delle dipendenze non avviene mai in maniera indolore. Il Quantitative Tightening avrebbe dovuto rappresentare l’avvio della normalizzazione monetaria, mentre rischia di mettere nero su bianco l’impossibilità di ambirvi senza provocare sconquassi finanziari. La BCE può formalmente proseguire nei suoi piani e al contempo tornare agli acquisti dei bond tramite il PEPP, altro programma monetario nato con la pandemia e cessato un anno fa. Ma è la somma che fa il totale, direbbe il mitico Totò. Che a differenza dei banchieri centrali, fa ridere di gusto.

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