C’era un tempo in cui bastava pronunciare l’espressione “pubblico impiego” per far brillare gli occhi a migliaia di candidati, che accorrevano da ogni angolo d’Italia in cerca del classico posto fisso dello stato. Questo tempo non era tanti anni fa, anzi. Solo che oggi il nostro Paese sta vivendo l’incubo di non riuscire più a trovare un numero sufficiente di candidati idonei che, al termine di un concorso, accettano di ricoprire il posto ottenuto. L’Ispettorato del Lavoro e l’INAIL stanno registrando punte del 60-70% di posti vacanti.

In pratica, su 100 posizioni assegnate per concorso, appena 30-40 sono ricoperte dai vincitori. Il fenomeno sta interessando persino quel Meridione così tanto affamato di lavoro, ma in cui evidentemente i giovani non sembrano disposti ad accettare di tutto e a tutte le condizioni offerte.

Il problema è grave. Molte delle posizioni aperte nel pubblico impiego riguardano la realizzazione del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con cui l’Unione Europea ci verserà 191 miliardi entro il 2026. Tuttavia, i candidati non si trovano. Il governo ha dovuto persino saltare l’iter dei concorsi e procedere alle assunzioni dirette per 800 posizioni in ambito economico, statistico, giuridico, informatico, ingegneristico, ecc. Unica condizione: avere trascorso almeno 15 mesi continuativi alle dipendenze del Comune preposto all’assunzione. Superate le selezioni, 400 degli 800 candidati vincitori non hanno accettato l’incarico.

Fuga dal pubblico impiego, le ragioni

A cos’è dovuto il fenomeno? Le cause sembrano molteplici. In primis, c’è un eccesso di offerta di posizioni nel pubblico impiego. Sappiamo che, per ragioni anagrafiche, centinaia di migliaia di dipendenti pubblici in questi anni stanno andando in pensione. Un’uscita accelerata da quota 100 prima, quota 102 dal 2022 e quota 103 da quest’anno. La Pubblica Amministrazione non è spesso in grado di bandire concorsi in tempi celeri. Dopodiché, esistono troppi concorsi indetti nello stesso periodo e i candidati spesso partecipano a più selezioni e finiscono per scegliere il posto ritenuto più consono per le condizioni offerte e il luogo in cui ricoprire l’incarico.

Ma non è tutto. I concorsi nel pubblico impiego non si sono adeguati alle retribuzioni richieste dal mercato. Profili iper-specializzati ricercati spesso per stipendi netti di neppure 1.500 euro al mese. Al Sud, può convenire accettare. Invece, se un meridionale vince un concorso per un posto al Nord, il gioco può non valere la candela. Come pagare un affitto a Milano di 800 euro con uno stipendio così modesto? Non a caso, i posti vacanti sono stati da record quest’anno anche tra gli insegnanti.

C’è anche quel dato sull’occupazione di cui tenere conto. Per quanto il mercato del lavoro italiano sia tutt’altro che in ottima forma, la percentuale di chi lavora è salita al record storico del 60,8% a febbraio. Questo significa che le opportunità professionali stanno aumentando e che il pubblico impiego non è più l’unico modo per trovare un posto stabile. Inoltre, molti giovani non accettano di più di fare i passacarte per tutta la vita. Cercano anche “qualità” nel proprio lavoro, non si sottomettono alle logiche parassitarie che da molti decenni caratterizzano il pubblico impiego in Italia.

Pubblica Amministrazione costretta ad ammodernarsi

Sebbene nel breve periodo questo fenomeno avrà conseguenze negative per l’economia italiana (vedi possibili fondi perduti con il PNRR), l’impatto di medio-lungo periodo può essere positivo. Anche lo stato dovrà innovare i processi di reclutamento per coprire i posti vacanti. Dovrà migliorare l’appeal delle condizioni offerte sul piano retributivo e non. E’ finito il tempo della distribuzione di noccioline per tutti. Di riflesso, lo stesso settore privato subirà la concorrenza del pubblico impiego. Fino ad oggi, i bassi stipendi pubblici hanno fatto dormire sugli allori troppi imprenditori, persuasi di poter fissare retribuzioni e orari di lavoro unilateralmente.

La conseguenza è la difficoltà di questi anni di trovare lavoratori.

Un pubblico impiego non più percepito come ammortizzatore sociale segna la fine di un’era da dimenticare in Italia, in cui il clientelismo politico l’ha fatta da padrone al Sud. Non che oggi il posto pubblico sotto casa non sia più oggetto di voti di scambio o, comunque, in cima ai desideri di molti italiani in cerca di occupazione con stipendio dignitoso. Semplicemente, i grandi numeri iniziano a punire la Pubblica Amministrazione ingessata e burocratica già in fase di selezione. Lo stato italiano è rimasto con la testa a quando bastava indire un concorso per attirare orde di candidati, indifferentemente dalle posizioni e condizioni offerte. O cambia approccio o dovrà andare anch’esso nei TG nazionali a lamentare che “i giovani di oggi non vogliono lavorare”.

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