L’inflazione morde le tasche delle famiglie italiane e i dati dell’ISTAT sono eloquenti. Le retribuzioni orarie dei lavoratori sono aumentate nel 2022 in media dell’1,1%, il 7% in meno esatto dell’inflazione. Crolla, quindi, il potere di acquisto e inizia a colpire i risparmi degli italiani, la cui propensione è scesa alla fine dello scorso anno al 5,3%, due punti percentuali in meno rispetto al terzo trimestre. Il protrarsi di questa situazione rischia di impattare negativamente sulle banche. Un mese fa, il crac di Silicon Valley Bank negli Stati Uniti ha acceso i fari sulle difficili condizioni in cui versano molti istituti di credito.

E dire che fino a pochi giorni prima, gli analisti avevano promosso proprio il comparto bancario per i presunti vantaggi ottenuti con il rialzo dei tassi d’interesse.

Fino a qualche mese fa, le famiglie italiane avevano attinto ai risparmi accumulati durante la pandemia per attutire gli effetti del carovita. Tra il febbraio 2020 e il luglio scorso, i depositi presso le banche nazionali erano cresciuti di quasi 290 miliardi di euro. Effetto del crollo dei consumi con l’introduzione delle restrizioni anti-Covid. Un fenomeno comune a tutte le economie avanzate. Ma da luglio, risultano scesi di 85,6 miliardi, circa il 30% degli aumenti in era pandemica. La fine delle restrizioni ha rilanciato i consumi, ma allo stesso tempo l’inflazione ha iniziato a colpire i bilanci familiari, costringendo milioni di persone ad utilizzare i risparmi per pagare le bollette, fronteggiare spese impreviste o persino ordinarie.

Calo risparmi allarmante per banche

Questa situazione non sarebbe sostenibile a lungo senza colpire l’economia italiana. Le banche stanno affrontando già da mesi il crollo di valore degli asset a bilancio. D’altra parte, stanno aumentando i tassi sui prestiti, mantenendo per il momento quasi invariati i tassi praticati a favore dei clienti. Si allargano gli spread, cioè i margini sui prestiti.

Ma la Banca Centrale Europea (BCE) ha iniziato a chiudere i rubinetti della liquidità. I prestiti T-Ltro, concessi durante la pandemia per 2.100 miliardi di euro alle banche dell’Area Euro a costo sottozero, dovranno essere restituiti al massimo entro il 2024.

Se nel frattempo le famiglie italiane continueranno a ridurre i risparmi a causa dell’inflazione, i depositi si assottiglieranno ulteriormente. A corto di liquidità, le banche sarebbero costrette ad alzare i tassi per attirare nuovi clienti o arginare la fuga degli esistenti. E così, oltre alla pressione sugli asset inizierebbero anche a restringersi i margini d’interesse. Le banche italiane andrebbero in affanno. L’unica speranza per evitare questo scenario sarebbe che l’inflazione accelerasse la discesa, la BCE cessasse quanto prima la stretta sui tassi e che la liquidità sui mercati tornasse ad affluire, rivalorizzando bond e azioni, mentre il potere delle famiglie tiene botta.

[email protected]