Era uno dei principali malati d’Europa solamente qualche anno fa, adesso è diventato modello positivo a cui ispirarsi per dimostrare gli effetti benefici delle riforme. Il Portogallo è cresciuto del 2,7% nel 2017, sopra la media dell’Eurozona di circa mezzo punto percentuale, accelerando dal +1,5% del 2016. Cosa ancora più significativa, ha visto scendere il tasso di disoccupazione all’8,1% del mese scorso dal 10,5% di un anno prima e risultando più che dimezzato rispetto all’apice del 17,7% toccato nel corso del 2013. Eppure, nel 2011 Lisbona alzava bandiera bianca e chiedeva sostegno alla Troika (UE, BCE e FMI), ottenendo 78 miliardi di euro.

Il programma di assistenza scadeva nel 2014 e molti furono gli scettici sulla capacità del paese di tornare a rifinanziarsi sul mercato in autonomia. Invece, le pur dolorose riforme economiche del governo conservatore di Pedro Passos-Coelho hanno esitato i loro effetti e pur essendo costati il posto all’ex premier, hanno lanciato l’economia lusitana verso un inatteso boom, complice il successo del turismo.

Il 2017 si è chiuso con esportazioni complessive di beni e servizi per oltre 80 miliardi, pari al record del 42% del pil. Le importazioni si sono attestate poco sotto, garantendo a Lisbona il quinto surplus commerciale consecutivo, quando nel mezzo secolo precedente aveva chiuso ogni anno con un disavanzo commerciale mediamente compreso tra il 5% e il 10% del pil. Ancora nel 2008, il segno meno sfiorava il 10%. Certo, al netto dei servizi (tra cui il turismo), le esportazioni nette portoghesi resterebbero negative per quasi 14 miliardi, pari a oltre il 7% del pil. Questo significa che il rilancio sta passando dal terziario, compresa l’impennata delle presenze di turisti stranieri, attratti da una meta a basso costo e al contempo in grado di offrire bellezze sul piano paesaggistico, storico, culturale e religioso, oltre che a una movida allettante.

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Austerità virtuosa per Lisbona

Il surplus commerciale, dicevamo, è una novità di questi anni.

Contrariamente a quanto saremmo portati a credere, esso non è conseguente a una riduzione delle importazioni, a sua volta per effetto di una contrazione dei consumi per via delle misure di austerità fiscale attuate dal 2011, bensì è stato sostenuto proprio dal boom dell’export. Questo è aumentato di una decina di punti percentuali in rapporto al pil in 10 anni, mentre le importazioni sono rimaste praticamente ferme o appena cresciute. In altre parole, l’economia portoghese è stata in grado di rilanciare la propria competitività sui mercati internazionali, un fatto che sta contribuendo in maniera decisiva alla sua crescita.

Per farlo, certamente sono stati necessari tagli a stipendi e salari, che una politica fiscale disordinata aveva “gonfiato” al di sopra delle reali possibilità del paese. In pratica, i portoghesi avevano vissuto al di sopra dei livelli che avrebbero potuto permettersi, ma hanno approfittato della crisi per riformarsi e ripartire, rendendosi più competitivi. Restano gravati da un rapporto debito/pil al 126%, ma si consideri che grazie alla maggiore crescita economica degli ultimi 17 anni, l’indebitamento sovrano si è ridotto di ben 4 punti in appena un anno, pur mantenendosi nettamente al di sopra del 70% degli anni immediatamente pre-crisi. I mercati apprezzano, se è vero che i bond decennali rendono intorno al 2% e persino meno dei BTp per la stessa scadenza, meno della metà di appena un anno fa.

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La Germania può sorridere, perché a quanti la accusano di avere “distrutto” l’economia della Grecia con questa sua ossessione per l’austerità fiscale può contrapporre un’evidenza difficile da smentire: tutte le economie assistite dalla Troika sono ripartite e hanno superato la crisi, tranne Atene, l’unica a non avere attuato le misure richieste, rinviandole di anno in anno e finendo per indisporre i mercati, generando sfiducia e allontanando gli investimenti stranieri.

E così, da un mese l’Eurogruppo è guidato dal portoghese Mario Centeno, ministro delle Finanze ed esponente del governo socialista di Antonio Costa, che pure ha raccolto una maggioranza parlamentare su una piattaforma politica anti-austerity. Ma ormai le riforme erano state varate dall’esecutivo precedente, per cui il temuto vento ellenico non è arrivato a spirare a Lisbona. Anzi, qui non ci è proprio arrivato e i risultati si vedono.

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