La sterlina è crollata in settimana ai minimi storici contro il dollaro, toccando un tasso di cambio di 1,0350. Pur risalita a 1,07, perde quest’anno circa il 21%. A provocare il “flash crash” di lunedì mattina è stata la reazione allarmata dei mercati per la politica economica della nuova premier Liz Truss. Come vedremo, però, il crollo della sterlina non è un fenomeno a cui possiamo guardare come se fossimo semplici spettatori esterni. Esso paventa, infatti, una crisi dell’euro ben più grave di quella che stiamo vivendo già da mesi.

Per capire le ragioni di quanto accaduto, dobbiamo partire da Londra. Il cancelliere allo Scacchiere, in pratica il ministro dell’Economia, Kwasi Kwarteng, ha varato un maxi-piano contro il caro bollette per due anni da 172 miliardi di sterline, un modo per sostenere famiglie e imprese in una fase di forti rincari di gas e luce. Allo stesso tempo, ha annunciato tagli alle tasse e disattivazione degli aumenti varati con il precedente esecutivo per 45 miliardi di sterline. Tutto rigorosamente in deficit. I mercati giustamente sono preoccupati per l’enorme impatto che la Trussonomics avrà sui conti pubblici e hanno preso di mira la sterlina, mentre i rendimenti dei Gilt si sono impennati.

Fine dei tassi a zero con inflazione

Quello di Sua Maestà non è l’unico governo che sta aumentando il debito pubblico a sostegno dell’economia. Lampante il caso degli Stati Uniti con maxi-stimoli fiscali per 3.000 miliardi di dollari solamente durante la pandemia. Nell’Eurozona, malgrado la propensione alla prudenza fiscale, il problema si pone ugualmente. Se non si frena l’impatto del caro bollette su famiglie e imprese, a breve avremo tensioni sociali e produzione in caduta libera.

E’ accaduto che dopo la crisi finanziaria del 2008, nel mondo si sia scatenata una corsa al debito per placare le ire degli elettori, inferociti contro il sistema bancario e politico.

In assenza d’inflazione, tale politica fu accompagnata da tassi azzerati o negativi e acquisti di titoli di stato e privati. I governi spendevano, s’indebitavano e questi debiti non costavano nulla, perché sostanzialmente ad accollarseli erano le banche centrali.

Ma tra pandemia e guerra russo-ucraina, ecco arrivare il famoso “incidente” della storia a riportare tutti con i piedi per terra. Rispunta l’inflazione, le banche centrali prima tentennano e dopo sono costrette ad alzare i tassi d’interesse. Chiudono i rubinetti della liquidità e il costo dei debiti s’impenna. I governi non possono più indebitarsi a cuor leggero come fino a pochi mesi fa. Eppure, ne hanno la necessità ora più che mai. Il crollo della sterlina testimonia che i mercati non sembrano disposti a finanziare ulteriori debiti. Fa eccezione ancora l’America per via del suo “privilegio esorbitante” di stampare dollari, cioè la valuta di riserva mondiale.

Crisi dell’euro per eccesso di debiti

Il paradosso americano sta tutto qua: più s’indebita e più il dollaro sale, dato che la crisi mondiale spinge i capitali verso gli USA. L’Eurozona condivide in parte tale privilegio, ma in misura assai inferiore. Essa è l’unione monetaria tra 19 stati con politiche fiscali autonome e semmai solo coordinate. I mercati ne prendono di mira il ventre molle, essenzialmente l’Italia, facendone impennare gli spread e frammentando il mercato monetario stesso. Quanto accaduto alla sterlina può anticipare una crisi dell’euro vera e propria. Il cambio euro-dollaro già perde il 15% quest’anno, sceso ai minimi dal 2002. Il peggio arriverebbe se i mercati tornassero a dubitare della solvibilità dei debiti di alcuni paesi, ora che i tassi salgono e persino la prima economia dell’area – la Germania – vacilla.

Un modo per cercare di sventare una crisi dell’euro immediata sarebbe di irrobustire il Recovery Fund varato sotto pandemia con un piano sovranazionale contro il caro bollette.

I governi nazionali verrebbero sdebitati in una fase così delicata, mentre aumenterebbero le emissioni di obbligazioni con rating tripla A, cioè sicure e con minori rendimenti. Tuttavia, prima o poi gli stessi mercati s’interrogherebbero sulla sostenibilità di un debito complessivamente sempre più elevato, che sia emesso dagli stati nazionali o dalla Commissione europea. Insomma, la crisi dell’euro sarebbe figlia di un eccesso di debiti. E così come per la sterlina, o si rimedia a tale timore con un cambio di passo o si rischia il tracollo finanziario. Altro che privilegio esorbitante.

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