La quotazione di Bitcoin è risalita sopra la soglia dei 30.000 dollari per la prima volta dopo dieci mesi esatti. Per rivedere un simile dato, in effetti, dovremmo tornare indietro agli inizi di giugno dello scorso anno. Se pensiamo che nel novembre del 2021, cioè meno di un anno e mezzo fa, la “criptovaluta” aveva superato i 69.000 dollari, capiamo quanto strada resti da fare per cancellare le perdite patite rispetto ai massimi storici. Tuttavia, da inizio anno i guadagni superano l’80%. E non è poco per un asset che era stato dichiarato morto fino a poche settimane fa.

La bancarotta di FTX aveva assestato un colpo durissimo alla credibilità di tutto il comparto delle monete digitali.

Prospettive migliorano con stop aumento tassi

Cerchiamo di capire la ragione alla base di questo forte recupero di Bitcoin, che a novembre era sceso sotto 16.000 dollari, ai minimi da due anni. Il trend rialzista ha a che vedere con la politica monetaria delle banche centrali. L’aumento dei tassi d’interesse è iniziato lo scorso anno, con la Federal Reserve a battere i tempi tra i grandi istituti sin dal marzo del 2022. Già verso la fine del 2021, con l’inflazione in forte ascesa in Nord America ed Europa, la prospettiva sembrò chiara. E Bitcoin insieme alle altre criptovalute si avviavano a registrare grossi tonfi.

Qual è il legame tra i due eventi? Le criptovalute sono asset la cui domanda negli anni passata è stata alimentata dall’abbondante liquidità disponibile sui mercati. Ed essa era stata il risultato di un allentamento monetario senza precedenti: acquisti di bond e tassi a zero o negativi. Venendo meno queste condizioni ultra-favorevoli agli investitori, il fiume di denaro che si era riservato sul mercato delle cripto, si è prosciugato. Per non parlare dell’aspetto “ideologico”. Bitcoin era nato dopo il crac di Lehman Brothers, quando la credibilità del sistema finanziario tradizionale era ai minimi termini e le banche centrali stampavano moneta a più non posso.

Paradosso Bitcoin giù con inflazione su

In un certo senso, il successo di Bitcoin è stata la misura del rigetto di parte del mercato verso il sistema. E parliamo di una montagna fino a 2.000 miliardi di dollari, a tanto ammontava la capitalizzazione delle criptovalute nell’autunno di due anni fa. Ora che le banche centrali stanno avviandosi alla cessazione della stretta monetaria, le prospettive per questo mondo tornano rosee. Nuova liquidità affluirà sui mercati con i rendimenti obbligazionari calanti. Non a caso, anche l’oro risale sopra quota 2.000 dollari l’oncia, avvicinandosi ai massimi storici di un anno fa.

Se vogliamo, siamo a un paradosso o alla smentita di una supposizione. Bitcoin sarebbe stato considerato un asset difensivo contro l’inflazione, mentre tende a performare male proprio quando i prezzi al consumo salgono. Viceversa, va bene con prezzi al consumo stabili o calanti. Questo si spiega con quanto sopra detto: sono i livelli di liquidità a regolare gli afflussi dei capitali verso il mercato delle criptovalute. Dunque, questi asset saranno anche nati come reazione alle stamperie delle banche centrali, ma nei fatti dipendono da esse. Non è “l’oro del nuovo millennio” come qualche analista aveva suggerito negli anni recenti. Vero è che la natura di Bitcoin sia tendenzialmente deflattiva per le modalità del “mining”. Ma le quotazioni si comportano come fossero azioni e non safe asset.

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