Guadagna l’8,5% da inizio anno ed è tornato a superare la soglia dei 2.000 dollari l’oncia dopo un anno, salvo scendervi poco sotto subito dopo. L’oro si conferma un “safe asset” a cui rivolgersi nelle fasi difficili. Non ha brillato particolarmente con l’inflazione ai massimi dagli anni Ottanta in quasi tutto il mondo avanzato. Ha subito, in effetti, la concorrenza delle obbligazioni, i cui rendimenti sono letteralmente volati nell’ultimo anno. Tuttavia, chi guardasse al grafico dei prezzi negli ultimi decenni, noterebbe senza alcuna difficoltà che la quotazione dell’oro tendenzialmente non fa che salire.

E potremmo essere alla vigilia di una nuova stagione di forte balzo. C’è chi prevede nel medio-lungo termine che si arrivi anche a 5.000 o 10.000 dollari. Addirittura, l’estate scorsa vi fu un tale John Butler, tesoriere di TallyMoney, che ha profetizzato il raggiungimento dei 50.000 dollari nel caso in cui le banche centrali tornassero al sistema monetario noto come gold standard.

Banche centrali in affanno con rialzo dei tassi

Pur volendo scartare le previsioni più estreme, proprio le banche centrali sarebbero fautrici di un rinvigorimento dell’oro tra i portafogli d’investimento. In questi mesi, pur tardivamente, stanno alzando i tassi d’interesse contro l’inflazione dopo che per anni li avevano tenuti a zero o sottozero. La conseguenza di questa stretta monetaria, tuttavia, è la perdita di valore degli asset finanziari. Molti di questi sono detenuti da quelle banche di cui stiamo avvertendo scricchiolii allarmanti nelle ultime settimane.

Ma le stesse banche centrali sono stracolme nei loro bilanci di bond e persino azioni, i cui prezzi di mercato sono precipitati con il rialzo dei tassi. Asset che avevano acquistato all’indomani della crisi finanziaria mondiale del 2008 per iniettare liquidità sui mercati e cercare di evitare lo scenario della Grande Depressione. Gli istituti stanno accusando gravi contraccolpi da questa retromarcia.

Le perdite sono elevate, anche se, a differenza di quanto è già accaduto con alcune banche private, non hanno portato ad alcun crac. In effetti, come tempo fa aveva sottolineato il governatore della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, una banca centrale può continuare ad operare anche con un patrimonio netto negativo.

Già. Essa può stamparsi tutta la moneta di cui ha bisogno per ripagare i debiti. Ineccepibile sul piano tecnico, ma siamo sicuri che resterebbe credibile agli occhi del mercato? Volendoci riflettere su, chi comprerebbe la moneta stampata da una banca centrale con un bilancio in rosso e costretta a coprire le perdite ricorrendo proprio all’emissione di moneta? Certo, una cosa è che questa moneta si chiami lira turca o rupia dello Sri Lanka, un’altra che sia il dollaro o l’euro. Ad oggi, sono pochissime le valute che godono di forte credibilità sui mercati internazionali. E sono tutte emesse da banche centrali dell’Occidente, inteso sul piano geopolitico.

Corsa all’oro con crisi di fiducia

E’ bene, però, non dare per scontato che tutto rimanga così a tempo indefinito. Storicamente, le valute di riserva mondiale hanno avuto sempre un inizio e una fine. E questo potrebbe accadere con lo stesso dollaro. In altre parole, gli affanni delle banche centrali rischiano di riflettersi nel medio-lungo termine sulla credibilità delle principali valute mondiali. E questo porterebbe a una fuga dei capitali verso l’oro, cosa che in parte sta accadendo già in Asia. Basti guardare ai dati sugli acquisti record degli istituti. Tra l’altro, le sanzioni dell’Occidente contro la Russia ha accresciuto la consapevolezza tra gli stati “nemici dell’America” che il dollaro non sia un asset realmente sicuro in caso di tensioni geopolitiche. Al contrario, l’oro lo è. Tutti ne riconoscono il valore in ogni luogo e in ogni tempo.

E nessuno può manipolarne i prezzi, perché l’oro è un bene quantitativamente scarso e, a differenza delle monete, la sua offerta non può essere aumentata a piacimento.

La corsa all’oro potrebbe essere l’ultimo capitolo di una instabilità finanziaria iniziata nel 2008 con il crac di Lehman Brothers e che rischia di culminare con la lotta all’inflazione di questi mesi. D’altra parte, i numeri parlano chiaro: in venti anni, il prezzo dell’oro è esploso del 430%, cioè alla media annua dell’8,7%. Ha battuto l’inflazione di gran lunga e lo stesso mercato azionario americano (+8% medio annuo). Alla lunga, si rivela l’asset più affidabile. Lo sanno anche le banche centrali principali, le quali potrebbero tornare a comprarlo dopo averlo snobbato per decenni, al fine di recuperare la credibilità perduta e di sventare sul nascere eventuali fughe dei capitali man mano si paleserà sempre più il trade-off tra difesa della stabilità dei prezzi e mantenimento della stabilità finanziaria.

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