Si moltiplicano gli spot di prodotti alimentari “senza olio di palma“, quasi a segnalarne una garanzia contro la presunta nocività dell’ingrediente, utilizzato massicciamente anche nell’industria cosmetica. Si calcola che almeno la metà dei cibo prodotto nel mondo contenga olio di palma. Eppure, negli ultimi tempi è diventato un appestato per la stampa e tra i consumatori, questi ultimi molto attenti a verificare all’acquisto che non compaia tra le sostanze utilizzate dai produttori.

Nel maggio scorso, l’Efsa, ovvero l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, ha pubblicato un rapporto, secondo il quale l’olio di palma conterrebbe una sostanza, che ad alte temperature diverrebbe cancerogena.

Eppure, soltanto un mese prima, l’Istituto superiore della sanità in Italia aveva rassicurato il ministro Beatrice Lorenzin sulla bontà del prodotto. Fatto sta, che i dubbi sui suoi effetti per la salute si sono sommati a una campagna di ambientalisti e organizzazioni sindacali, che lamentano da tempo che la produzione di olio di palma provochi deforestazione e sfruttamento dei lavoratori, costretti a salari da fame e a condizioni di lavoro gravose.

Nutella continuerà ad avere l’olio di palma

Il mix di queste critiche, unitamente al tam tam mediatico, hanno spinto numerosi produttori a sostituire l’ingrediente con altri, di cui spesso nemmeno sappiamo, in qualità di consumatori, se contengano grassi ancora più nocivi per la nostra salute. Qualcuno ha ironizzato, che di questo passo persino le parrocchie pubblicizzeranno presto i loro sacramenti senza olio di palma. Di segno contrario è la campagna di stampa portata avanti in queste settimane da Ferrero, che utilizza l’olio di palma per la Nutella, tanto da essersi attirata le critiche feroci di Segolène Royal in Francia, esponente della maggioranza di governo e già candidata alla presidenza nel 2007. (Leggi anche: Nutella, esempio di globalizzazione)

La Ferrero sostiene che la criminalizzazione dell’olio di palma sia infondata e ha trovato in ciò il sostegno del vice-ministro dell’Agricoltura, Andrea Oliviero, il quale ha messo in guardia dalle campagne contro questo o quel prodotto, che solitamente sono studiate a tavolino per danneggiare o favorire questo o quel paese.

 

 

Le quotazioni dell’olio di palma crescono

Nella stessa Francia, giovedì scorso è stata bocciata una proposta dagli ambientalisti all’Assemblea Nazionale, che puntava a introdurre una sovrattassa da 300 euro su ogni tonnellata di olio di palma, che sarebbe schizzata a 900 euro nel 2020 e a livelli ancora più alti dal 2021. Né il governo, né le opposizioni hanno appoggiato tale misura, giudicata eccessivamente punitiva. Sarebbe stata una stangata enorme per un prodotto, che sul mercato internazionale viene quotato sopra i 750 dollari a tonnellata in Malaysia, uno dei maggiori produttori mondiali, insieme a Indonesia e Colombia.

Il dato interessante è che si potrebbe immaginare una furente crisi sul mercato dell’olio di palma, invece, le cose vanno esattamente al contrario. Anzitutto, dopo una fase leggermente calante vissuta fino dall’aprile al luglio scorso, i prezzi sono rimbalzati di oltre il 10% negli ultimi tre mesi e segnano un eclatante +37% rispetto a inizio anno.

Il mercato dell’olio di palma sempre più grande

D’altronde, contrariamente a quanto si pensi, la domanda non solo è rimasta solida, ma appare in continua crescita, tanto che il WWF ha stimato che la produzione mondiale passerà dalle 24 milioni di tonnellate del 1999 alle 50 milioni entro il 2019, superando le 70 milioni negli anni seguenti. Le cifre di Euromonitor sono persino più positive: nel 2015, la produzione sarebbe già salita a 58,1 milioni di tonnellate dalle 45,7 del 2010.

Persino Greenpeace ha invitato a non demonizzare la produzione di olio di palma tout court, sostenendo che gli sforzi di colossi come Ferrero per un’offerta eco-sostenibile ed equa per i lavoratori andrebbero sostenuti, non abbattuti, segnalando come i maggiori problemi in termini di impatto ambientali e di diritti dei lavoratori si riscontrino per le piccole realtà produttive, non per le grosse multinazionali.

 

 

 

Olio di palma eco-sostenibile

E due colossi hanno aderito al progetto “Palm Done Right”, ovvero all’olio di palma “fatto bene”, prodotto con criteri di sostenibilità ambientale e nel rispetto delle condizioni di chi vi lavora. Trattasi di Natural Habits e di Dr Bronner’s. Il primo già produce così 10.000 tonnellate di olio di palma, di cui il 60% va in Europa e il restante 40% negli USA. Nulla, rispetto ai numeri della produzione mondiale, ma un piccolo passo in avanti nella direzione desiderata dai consumatori, anche se lo sforzo rischia di non essere compreso proprio dall’utilizzatore finale, tramortito da una campagna martellante contro la nocività per la salute di questo ingrediente.