Lo scorso mese, dopo che la Corea del Nord iniziava il lancio di quattro missili balistici a media gittata, segnalando al mondo la sua avanzata nella costruzione di un proprio arsenale nucleare, la Cina aveva annunciato il congelamento delle importazioni di carbone dal paese, cosa che se fosse tradotta in realtà manderebbe l’economia pianificata e fortemente dirigista di Pyongyang a gambe per aria. A poche settimane da quell’annuncio, però, pare che le relazioni commerciali tra i due paesi confinanti siano rimaste praticamente intatte.

Il governo cinese avrebbe bluffato, insomma, magari nel tentativo di rasserenare gli animi a Washington, dove il segretario di Stato, Rex Tillerson, ha dichiarato qualche giorno fa il fallimento della politica estera americana verso la Corea del Nord, avvertendo di non escludere più nemmeno l’uso delle armi per fermare l’armamento nucleare del regime di Kim Jong-Un, padre e padrone dello stato da 25 milioni di abitanti sin dalla fine del 2011, quando il padre Kim Jong-Il scomparve improvvisamente.

La Cina importa ogni anno dalla Corea del Nord intorno a 2,5 miliardi di dollari di merci, quasi del tutto carbone e ferro. Al contempo, però, vi esporta tra i 3 e i 4 miliardi di dollari, per cui Pechino vanta un avanzo commerciale con Pyongyang, per quanto risibile rispetto a quello complessivo, ma per quest’ultima rappresenta il 90% delle relazioni commerciali. (Leggi anche: Viaggio in Corea del Nord a 360 gradi)

I timori della Cina

Come mai i cinesi evitano il colpo del KO con il vicino sempre più imbarazzante e aggressivo sul palcoscenico internazionale? Se smettessero di importare materie prime, la Corea del Nord cadrebbe in depressione economica, anche se non è detto che il regime crolli, avendo superato indenne, grazie alla spietatezza utilizzata, persino la carestia degli anni Novanta, quando morì un milione di persone e il pil crollò di circa il 70%.

La fine del regime di ispirazione staliniana potrebbe anche essere accolta con un sospiro di sollievo nel mondo, ma creerebbe un potenziale caos alla frontiera nord-orientale con la Cina, con milioni di persone che si riverserebbero nelle già povere province cinesi confinanti. Il collasso di Pyongyang, poi, potrebbe portare a una riunificazione con la Corea del Sud, cosa che Pechino vede come fumo negli occhi. Meglio un alleato scomodo che un nemico alle sue frontiere, quindi.

Distanze economiche tra due Coree aumentano

Intanto, è notizia di oggi che le distanze economiche tra le due Coree si amplificano. Nel 2016, il Sud è cresciuto del 2,7% e il Nord di appena l’1%, anche se non è facile misurare le dimensioni di quest’ultimo, visto che beni e servizi non vengono transati sul mercato, ma sono rigidamente prodotti e distribuiti dallo stato. Secondo World Factbook della CIA americana, a parità di potere di acquisto, il pil nordcoreano varrebbe solo 40 miliardi di dollari, quello sudcoreano 48 volte in più, ossia 1.930 miliardi. L’aspettativa di vita nel regime sarebbe di 70,4 anni contro gli 82,4 della Corea del Sud.

Secondo gli stessi dati del censimento della Corea del Nord del 2008, il 93% delle famiglie non avrebbe ancora accesso all’energia elettrica e al gas. Solo la durissima repressione operata dalla dittatura sarebbe in grado di sventare qualsivoglia forma di resistenza nel paese, le cui condizioni economiche restano spaventosamente arretrate e senza alcuna prospettiva credibile di crescita nel medio termine. Un anno fa, Kim jong-Un celebrò il primo congresso del Partito dei Lavoratori dopo 36 anni, ma pose una pietra tombale sulle riforme, sostenendo che l’apertura del paese al resto del mondo rappresenterebbe una minaccia alla sua economia. (Leggi anche: Corea del Nord, Kim Jong-Un annuncia evento epocale)

E nonostante cibo carente e razionato, il regime si conferma primo al mondo per spese militari, dedicandovi nel periodo 2004-2014 quasi un quarto del pil, il 23,3%, anche se in valore assoluto, le cifre appaiono minime.

E con esportazioni di armi per 100 milioni di dollari, pari al 6,6% del totale, risulta prima al mondo, in termini di incidenza sulle esportazioni complessive.