Ieri, la lira turca ha perso più del 2% contro il dollaro, salendo a un tasso di cambio superiore alla soglia psicologica di 7, attestandosi a metà seduta odierna al nuovo minimo storico di 7,27. Le perdite di quest’anno si allungano al 18%. E martedì, i tassi d’interesse overnight sul mercato off-shore sono esplosi al 1.050%, ai massimi dal marzo-aprile dello scorso anno, quando schizzarono al 1.200%, spingendo le autorità di Ankara a imporre alle banche domestiche restrizioni al trading sul mercato di Londra.

Sebbene le vendite di assets in valuta estera da parte delle banche statali abbiano fortemente ridotto i costi al 6,8%, ancora ieri serviva pagare il 100% per farsi prestare denaro per due notti. E’ il segno che vi sarebbe una forte carenza di liquidità nel sistema, a causa degli interventi degli istituti per drenare assets in lire e sostenere i tassi di cambio.

Per un paio di mesi, la lira si era mantenuta stabile contro il dollaro sotto 7, ma con ogni probabilità grazie agli interventi della banca centrale, le cui riserve valutarie effettivamente si sono prosciugate negli ultimi mesi, con quelle nette ad essere scese sottozero, mentre quelle lorde risultavano attestatesi a 49,2 miliardi al 17 luglio scorso.

E’ probabile che sull’impennata dei tassi abbia inciso l’improvviso aumento della domanda dopo quattro giorni di festività, così come che l’istituto si stia gradualmente arrendendo alla realtà, cessando di difendere il cambio ad oltranza, operazione impossibile da portare avanti a lungo, date le disponibilità di riserve sempre più basse. Come vi avevamo anticipato, saremmo alla vigilia di una nuova tempesta finanziaria, a due anni di distanza dalla precedente.

Come la Turchia sta scivolando verso una nuova grave crisi finanziaria

Verso una nuova tempesta finanziaria

I rendimenti sovrani lungo la curva sono risaliti ai massimi da aprile, con il decennale al 14,24% e il biennale al 12,46%, segnalando aspettative d’inflazione in surriscaldamento sui mercati.

In effetti, la politica monetaria di Ankara si sta rivelando profondamente inefficiente e incongrua, con il tasso d’inflazione a luglio al 12,62%, a fronte dei tassi d’interesse fissati all’8,25%. In altre parole, la banca centrale si è trovata costretta dal potere politico a tagliare il costo del denaro a livelli troppo bassi e profondamente negativi in termini reali, provocando il deflusso dei capitali e l’indebolimento della lira, che a sua volta impatta al rialzo sui prezzi al consumo, accrescendo la pressione sull’istituto per un ripensamento della sua politica monetaria.

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Con una congiuntura internazionale così negativa, il pil turco sta arretrando e l’eventuale necessario aumento dei tassi non potrebbe che arrivare in un momento peggiore. Ma non vi sarebbero alternative, data l’insufficienza delle riserve con cui difendere il cambio, anche perché il presidente Recep Tayyip Erdogan non avrebbe alcuna intenzione di chiedere assistenza al Fondo Monetario Internazionale, i cui aiuti arriverebbero dietro presentazione di un piano di riforme. E il capo dello stato non ha alcuna voglia di vincolarsi a misure impopolari.

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