E’ stata una giornata a suo modo storica per il mercato forex. Per la prima volta in ventiquattro anni, la Banca del Giappone è scesa in campo per dare sostegno allo yen dopo che il tasso di cambio contro il dollaro aveva superato 145,80. Si trattava dei minimi dal 1998, proprio l’anno in cui era avvenuto l’ultimo intervento dell’istituto sul mercato dei cambi. Subito dopo, il cross crollava fino a un minimo di 140,89, rafforzandosi così del 3,7% dai minimi. La decisione era nell’aria da settimane, dato che lo yen quest’anno perde quasi il 20% contro il dollaro.

E’ arrivata non a caso il giorno successivo al quinto rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve. Il costo del denaro negli USA è salito al 3,25% ed è atteso entro l’anno al 4,50%. Nel frattempo, il Giappone mantiene i tassi negativi a -0,10%, unico caso al mondo dopo che proprio ieri anche la Svizzera li ha abbandonati.

Cosa succede sul mercato forex

La divergenza monetaria tra Tokyo e il resto del mondo favorisce il “carry trade” ai danni dello yen. Conviene al mercato forex indebitarsi in valuta nipponica a bassissimi tassi d’interesse per investire in asset denominati in dollari, i quali offrono rendimenti ormai elevati. Basti pensare che il T-bond a 2 anni ieri sfondava la soglia di 4,10%, mai così in alto dal 2007.

E vediamo nei dettagli com’è avvenuto l’intervento della Banca del Giappone per rianimare lo yen. L’istituto, spiega benissimo Saverio Berlinzani, uno dei massimi esperti valutari in Italia, ha atteso che il mercato raggiungesse un doppio massimo a 145,80, così che i “tori” andassero long sul breakout. A quel punto, ha iniziato a vendere dollari, intrappolando questi ultimi sul mercato forex. Qual è stata la ratio di questa tempistica? Infliggere perdite agli investitori che avevano scommesso contro lo yen, così da dissuaderli per il prossimo futuro.

Nuovi interventi a sostegno dello yen?

Funzionerà? Partiamo da un dato. La Banca del Giappone disponeva ad agosto quasi 5.000 miliardi di dollari di asset, di cui un migliaio investito in T-bond, i titoli di stato emessi dagli USA. In teoria, non le mancano i dollari da vendere per rafforzare il cambio. Tuttavia, non si spingerebbe fino a intaccare parte rilevante delle proprie riserve. Gli interventi sul mercato forex tipicamente possono funzionare per il breve termine, mai a lungo. “Bruciare” riserve per sostenere lo yen sarebbe insensato, dato che la debolezza è sostenuta dai fondamentali.

Finché i tassi negativi resteranno in Giappone, lo yen sarà sotto pressione. Probabile che solo quando il mercato forex avrà scontato il raggiungimento dell’apice per i tassi americani, il dollaro inizierà a sgonfiarsi. Stando agli analisti, forse accadrà dopo Natale. La manovra di Tokyo servirebbe, quindi, per frenare l’indebolimento dello yen da qui ai prossimi mesi, sebbene sia probabile che punti a stabilizzare il cambio contro il dollaro nel range 140-145. L’unico rimedio strutturale sarebbe alzare anch’essa i tassi, ponendo fine alla divergenza monetaria con il resto del mondo. Ma con un’inflazione nipponica ancora relativamente bassa, il governatore Haruhiko Kuroda teme che la stretta cancellerebbe gli sforzi di questi decenni contro la deflazione.

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