Il Ferragosto del 2021 rimarrà una data infame nella storia dell’Occidente. Il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan nei giorni precedenti consentiva ai talebani di tornare al potere dopo 20 anni. Gran parte della popolazione cadde nella disperazione al solo pensiero di rivivere l’oscurantismo liberticida patito all’epoca del mullah Omar. A distanza di pochi mesi, possiamo affermare che l’Afghanistan stia praticamente morendo di fame. Su una popolazione stimata tra 38 e 40 milioni di persone, l’ONU calcola che 24 milioni di persone non stiano riuscendo a sfamarsi in misura sufficiente.

Erano 18,4 milioni prima che i talebani riprendessero le redini del governo.

Malgrado 20 anni di governi eletti democraticamente, l’economia nazionale lasciata in eredità è stata a dir poco spaventosa. Con un PIL pro-capite di poco superiore ai 500 dollari, l’Afghanistan risulta essere uno degli stati più poveri al mondo. E il 75% della sua economia era caratterizzata da aiuti umanitari e spese militari delle truppe straniere. In pratica, qui non esiste alcuna economia. Come se non bastasse, poiché gli USA non hanno riconosciuto formalmente il nuovo Emirato Islamico dei talebani, hanno “congelato” i 9 miliardi di dollari delle riserve valutarie. Dunque, il paese non dispone di denaro per importare alcunché dall’estero. Metteteci anche la siccità, che ha provocato raccolti magri, e capite meglio perché l’Afghanistan si stia trasformando per necessità in un “narco-stato”.

I traffici di droga in Afghanistan

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, nel 2021 qui sono state raccolte 6.800 tonnellate di oppio, l’80% del consumo mondiale, per un valore compreso tra 1,8 e 2,7 miliardi di dollari. In pratica, tra il 9% e il 14% del PIL afghano è dato proprio dallo spaccio internazionale di droga. Peraltro, non stiamo parlando di un business nascente. Tutt’altro. Già con gli americani di stanza e i governi filo-occidentali che si erano succeduti tra il 2001 e il 2021, il paese vantava il primato mondiale della produzione di oppio.

I talebani stessi nel 2019 raccolsero 113 milioni di dollari dai coltivatori in qualità di “tangente”, grazie ai quali finanziarono la loro guerra contro Kabul.

Arrivati al potere, avevano promesso di sradicare il business della droga. Tuttavia, sin da subito ci avevano creduto in pochi. Troppo fiorente il mercato dell’oppio e troppe le mazzette che girano e intascate proprio dagli studenti del Corano. Con una popolazione stremata dalla fame, anche volendo non sarebbe possibile porre fine alla maggiore fonte di reddito del paese in questi mesi. Del resto, come fare se per la mancanza di soldi molti afghani stanno vendendo il rene sul mercato nero degli organi? Il vice-premier Abdul Ghani Baradar lo aveva ammesso appena insediatosi alla carica: “non so se saremo in grado di contrastare le coltivazioni di oppio”. Se manca la volontà, poi, è pure più difficile.

Non solo oppio, ora anche metanfetamine

Ma non è solo l’eroina a preoccupare i governi stranieri. Con la coltivazione dell’efedra nelle montagne al nord dell’Afghanistan, qui si producono in quantità sempre maggiore metanfetamine a costi nettamente più bassi di quelli richiesti per la produzione chimica. Si tratta di droghe ancora più pericolose di quelle pesanti tradizionali. I carichi viaggiano sui camion verso Pakistan e Iran senza grossi ostacoli. Anzi, i talebani non sembrano intenzionati di contrastarli. I medici nelle città stanno registrando un’esplosione di casi di tossicodipendenti nell’ultimo anno, a conferma che il consumo di droghe stia impennandosi anche sul mercato domestico.

Le cose per l’Afghanistan stanno persino peggiorando. Oltre alla siccità, la Banca Mondiale ha deciso di non erogare i 600 milioni di dollari di aiuti promessi dopo che i talebani si sono rimangiati la promessa di riaprire le scuole superiori alle donne. E per un’economia con un PIL inferiore a 20 miliardi scarsi e per giunta in caduta libera, sono tanti.

Lo “scongelamento” parziale delle riserve da parte degli USA sembra fuori questione. Equivarrebbe a liberare miliardi di dollari gestiti dai talebani. Paradosso vuole che il tasso di corruzione atteso sarebbe nettamente inferiore a quello esistente fino allo scorso anno sotto il presidente Ashraf Ghani, ma al contempo si darebbe modo al gruppo di rafforzare la presa sulla popolazione.

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