Sin dall’invasione dell’Ucraina, l’Occidente ha imposto alla Russia durissime sanzioni finanziarie, tra cui il “congelamento” di circa il 40% delle sue riserve valutarie depositate in Europa e Nord America. Queste ammontavano complessivamente sui 640 miliardi di dollari prima della guerra, per cui attualmente Mosca non riuscirebbe ad accedere a circa 300 miliardi di suoi asset. Trattasi di risorse messi da parte in anni e anni di pazienti risparmi dello stato. Per questo, il Cremlino e la banca centrale punterebbero a convertire una quota crescente delle riserve russe in yuan.

Secondo un documento visionato dai giornalisti di Bloomberg, il piano consisterebbe nell’acquistare fino a 70 miliardi di dollari di valuta cinese e altre valute “amiche”. Sarebbe anche un modo per indebolire il rublo, che quest’anno si è apprezzato del 25% contro il biglietto verde. Ed era arrivato a rafforzarsi di quasi il 50% prima che la Banca di Russia tornasse a tagliare i tassi e ad allentare i controlli sui capitali.

Boom export Russia con petrolio e gas

Dietro a questo rafforzamento ci sono certamente i controlli sui capitali stessi e il boom delle esportazioni. Grazie all’esplosione dei prezzi di petrolio e gas, nei primi sette mesi dell’anno la Russia ha riportato un saldo corrente positivo per 166,6 miliardi, segnando +116,4 miliardi su base annua. E tale dato ha a che vedere quasi totalmente con il boom delle esportazioni, mentre i deflussi dei capitali sarebbero rimasti invariati, stando ai dati ufficiali.

Dunque, paradossalmente le riserve russe crescono, malgrado le sanzioni e la fuga di decine e decine di multinazionali dal paese. Per la Cina, un’ottima notizia. Il suo principale alleato in Asia vuole rimpiazzare il dollaro con lo yuan, accelerando quella che nelle speranze di Pechino sarebbe la corsa a rendere la propria valuta un riferimento mondiale alternativo al biglietto verde.

Il dollaro resta super

Ma davvero lo status del dollaro come valuta di riserva mondiale è a rischio? I dati ufficiali del Fondo Monetario Internazionale ci dicono che nel primo trimestre dell’anno esso incideva per il 59% delle riserve mondiali.

L’euro seguiva a distanza con solo il 20%. In Russia il processo di dedollarizzazione andava avanti da anni, tant’è che a inizio 2021 il peso del dollaro tra le riserve russe superava di poco il 20%. L’euro, invece, sfiorava il 30%.

Che il dollaro sia, però, tutt’altro che spacciato lo rivela il +14,5% messo a segno quest’anno contro le altre valute mondiali. La conferma che il pianeta continui a considerarlo un “porto sicuro” per gli investimenti, specie nelle fasi di turbolenza finanziaria e geopolitica. Del resto, gran parte delle materie prime continua ad essere acquistato in dollari e, malgrado qualche annuncio di accordo qua e là per regolare gli scambi in valute locali, non s’intravede alcuna inversione di tendenza per il momento.

La storia ci insegna anche, comunque, che lo status di una valuta di riserva mondiale non è eterno. Prima del dollaro, a partire dal quindicesimo secolo vi furono cinque valute che funsero da riferimento per gli scambi tra nazioni. Erano di Portogallo, Spagna, Olanda, Francia e Gran Bretagna. In media, tale status durò per 94 anni a favore di una valuta. Il massimo è stato di 110 anni per la Spagna, a cavallo tra sedicesimo e diciassettesimo secolo.

Possibile boomerang da riserve russe “congelate”

Il dollaro è valuta di riserva mondiale praticamente da poco più di un secolo. Guardando alla statistica, si avvicinerebbe alla fine di tale esperienza. Ma i fatti ci impongono di guardare alla realtà con raziocinio. Ancora oggi, nessuna valuta si mostra in grado di rimpiazzare il dollaro negli scambi internazionali. Lo yuan non può neppure lontanamente competere, considerata l’opacità nei meccanismi di formazione dei tassi di cambio, la relativa scarsa liquidità degli scambi quotidiani e l’elevato rischio gravante sui capitali esteri in Cina sul piano delle certezze giuridiche e del rispetto della loro libertà di circolazione.

Tuttavia, le sanzioni un danno reputazionale al sistema finanziario dollaro-centrico lo hanno provocato. Impedire l’accesso a quasi la metà delle riserve russe ha insinuato il dubbio nel mondo che portare i capitali in Occidente non sia poi così sicuro per gli attori provenienti da paesi potenzialmente considerati “ostili”. Così come la Russia trasforma l’energia in un’arma, la stessa accusa è rivolta agli USA con il dollaro. Ma lo status di quest’ultimo non traballa affatto. Neppure i cinesi stessi sembrano volerne fare a meno. Siamo ancora alla fase di studio di un’alternativa in Asia. E quand’anche si passasse all’atto pratico, lo yuan resterebbe probabilmente a lungo una valuta di rilevanza regionale, incapace di scalfire la forza del dollaro nel resto del pianeta.

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