Questa settimana ha fatto in un certo senso la storia. Per la prima volta dal dicembre 2002, è stata raggiunta la parità euro-dollaro. A tratti, già nella serata di martedì la moneta unica è scesa persino leggermente sotto la soglia di 1:1. Non accadeva per l’appunto da venti anni. Sui mercati si respira aria di pessimismo sul futuro dell’economia nell’Eurozona. Il rischio di recessione appare più elevato che negli USA. E questo spingerebbe la BCE a mantenere relativamente espansiva la sua politica monetaria.

Nel frattempo, la Federal Reserve ha alzato i tassi d’interesse all’1,75% ed entro fine mese dovrebbe portarli al 2,50%. Invece, al board del 21 luglio la BCE li alzerà solamente dello 0,25% al -0,25%. Con una mossa imprudente, a giugno l’istituto si vincolò a un mini-ritocco del costo del denaro per luglio.

Ritorno alla parità euro-dollaro

Tutto questo, mentre l’inflazione a giugno galoppava all’8,6% nell’Eurozona. E la parità euro-dollaro contribuisce ad alimentare la corsa dei prezzi, aumentando il costo dei beni importati. Se vogliamo, si tratta anche di un segnale piuttosto negativo per Francoforte, la cui politica monetaria è percepita eccessivamente indietro rispetto alle effettive condizioni del mercato. Insieme alla Banca del Giappone, resta ad oggi l’unico istituto di grandi dimensioni a non avere alzato i tassi.

Ma la parità euro-dollaro significa molto altro. Quando nacque la moneta unica nel 1999, il cambio si attestava sopra la parità. Successivamente, arrivò a toccare un minimo di 0,83 nel settembre 2000. Dopodiché iniziò a salire quasi ininterrottamente fino a sfiorare 1,60 nel 2008. Da allora, registriamo il trend inverso, anche stavolta quasi senza interruzioni. Era perfettamente logico aspettarsi un euro debole ai suoi esordi. Tutto sommato, si trattava di un esperimento di portata storica. Una dozzina di paesi con governi e politiche economiche autonome si mettevano insieme per avere una moneta unica.

BCE pronta alla maxi-stretta a settembre

Tuttavia, la debolezza di questa fase appare assai più grave.

Se ha un minimo senso economico il Big Mac Index, all’inizio dell’anno il cambio euro-dollaro risultava sottovalutato del 15%. Si sarebbe dovuto attestare sopra 1,30. La parità euro-dollaro implica che la sottovalutazione della moneta unica è esplosa con la guerra tra Russa e Ucraina. In parte, l’indebolimento è giustificato dal deterioramento delle condizioni macro, a partire dalla bilancia commerciale. In grossa parte, però, esso riflette l’acuto pessimismo che i mercati nutrono verso l’Area Euro, incapace di darsi regole che davvero possano minimizzare una volta per tutte la frammentazione monetaria interna.

Ad ogni modo, la BCE potrà reagire a questa crisi dell’euro in un solo modo: prospettando già al board di settimana prossima un maxi-rialzo dei tassi a settembre. Il governatore Christine Lagarde e altri membri del consiglio parlano già dal board di giugno di una simile eventualità, specie se i dati sull’inflazione continuassero a peggiorare. Il mercato sconterebbe un aumento dello 0,50%, ossia l’uscita dall’era dei tassi negativi. Dunque, serve sorprenderlo con un ritocco ancora più robusto, in stile FED. Ecco perché è probabile che la BCE diffonda ad arte voci su un possibile rialzo dei tassi dello 0,75%.

L’obiettivo sarebbe di “raffreddare” le aspettative d’inflazione, al contempo agendo allontanando il cambio dalla parità euro-dollaro. Riuscirà nell’intento? Francoforte potrà permettersi un simile passo alla luce di una molto probabile recessione verso la fine dell’anno?

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