Giovedì 7 luglio, il premier britannico Boris Johnson ha dovuto annunciare le dimissioni dopo settimane di estrema tensione nel Partito Conservatore. Resterà alla guida del governo del Regno Unito fino a ottobre, il tempo che i Tories trovino un successore per rimpiazzarlo a leader del partito e dell’esecutivo. I nomi in lizza più probabili al momento appaiono due: Rushi Sunak, dimessosi in settimana da Cancelliere dello Scacchiere, vale a dire da ministro del Tesoro; Penny Mordaunt, ministro per il Commercio internazionale.

Le quotazioni del primo sono risalite dopo le dimissioni e sono date sostanzialmente alla pari della sfidante.

Gli scandali che hanno travolto Boris Johnson

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’ennesimo scandalo scoppiato tra le file dei Tories. In deputato Chris Pincher è stato accusato di essersi ubriacato in un club e di avere molestato due uomini, tra cui un altro deputato. Johnson avrebbe coperto l’accaduto. Dopo l’ennesima rivelazione imbarazzante, decine di esponenti del governo si sono dimesse per segnalare al premier “game over”.

In realtà, la crisi della leadership UK parte da più lontano. Mesi fa, si scoprì che durante i “lockdown” a Downing Street il premier tenne feste private con decine di persone, tra cui numerosi membri del partito. L’opinione pubblica andò giustamente su tutte le furie per il “party-gate”, dato che per diversi mesi i cittadini erano stati costretti a non uscire di casa e neppure a recarsi a far visita ai parenti nelle case di cura, mentre il capo del governo “se la spassava” banchettando.

Il malcontento sull’economia

Il 6 giugno scorso, Johnson aveva superato un voto di sfiducia presentato da alcuni esponenti del suo stesso partito. Formalmente, per un anno non avrebbe più potuto essere sfiduciato secondo le regole del Comitato 1922 che disciplinano la vita politica dei Tories.

Ma il conto alla rovescia per le dimissioni era senz’altro scattato. La verità è che più degli scandali, ad avere scaraventato il premier fuori da Downing Street è stata una linea politica che sembra avere sconfessato alcune sue promesse elettorali chiave.

In primis, la gestione della pandemia, che nelle prime settimane era stata improntata a uno spirito particolarmente liberale, divenne successivamente molto dirigista. Divieti, restrizioni di ogni tipo, chiusure. Se tutto questo è stato accettato (fino a un certo punto) nell’Europa continentale, a Londra hanno provocato parecchio malcontento proprio a destra. Poi c’è stata l’economia. Nel tentativo di risanare i conti pubblici dopo la pandemia, Sunak varava con la scorsa legge di bilancio aumenti delle tasse e dei contributi a carico dei lavoratori. Il contrario di quanto promesso agli elettori dopo la Brexit, nonché dello spirito autentico dei conservatori UK.

Primarie subito, elezioni più in là

Johnson ha cercato ultimamente di recuperare puntando tutto sul sostegno all’Ucraina contro la Russia di Vladimir Putin. E paradossalmente era diventato più popolare in Europa negli stessi mesi in cui la sua immagine si appannava irrimediabilmente in patria. Per quanto detto, Sunak potrebbe trovare più difficile assumere la leadership dei Tories. Mordaunt rappresenta, invece, un volto apparentemente pulito e genuino tra i conservatori filo-Brexit. Ci saranno elezioni primarie a più turni, finché non rimarranno a contendersi la guida solo i due candidati più votati dalla base.

Se si tenessero oggi le elezioni generali, a vincerle per i sondaggi sarebbe il Labour Party. Difficile, quindi, che i Tories vorranno andare presto alle elezioni anticipate, anche perché il futuro premier dovrà avere il tempo per esibire le proprie qualità e far dimenticare agli elettori i passi falsi degli ultimi tempi. Al più tardi, il Parlamento di Westminster sarà rinnovato alla fine del 2024.

[email protected]