Intervista a tutto campo per Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia, realizzata da Birgit Haas e Daniel Tost per Business Insider Deutschland. Il columnist del New York Times si sofferma molto sulle politiche monetarie delle principali banche centrali e ritiene che sia necessario un “regime change”, un cambio di regime. Alla domanda su cosa accadrebbe, se Donald Trump diventasse presidente degli USA, contrariamente a quanto potrebbe immaginare chi conosce le sue posizioni di economista di sinistra e di profonda fede keynesiana, Krugman non si mostra inorridito, sostenendo che “potrebbe essere meno peggiore di quanto si creda”, perché una volta arrivato alla Casa Bianca si renderebbe conto che dovrebbe ascoltare certa gente.
Catastrofica una vittoria dei repubblicani
A tale proposito, indica le posizioni dei vari candidati, compreso Marco Rubio, sulla politica della Federal Reserve, che a loro dire dovrebbe abbandonare tutto, tranne che l’“inflation targeting”, ossia il perseguimento di un determinato obiettivo di inflazione. Critica aspramente anche la loro volontà di deregolamentare del tutto la finanza. Tuttavia, precisa, di non volere fare endorsement in favore di nessuno, essendo critico anche nei confronti di Bernie Sanders, il candidato democratico molto schierato a sinistra, tanto da essere considerato negli USA un socialista.
Alzare target inflazione al 3%
Krugman sulla Cina nutre profonde preoccupazioni, in quanto ritiene che la sua economia sia legata a un livello insostenibile di investimenti, ovvero lascia intendere che sia caratterizzata da un eccesso di offerta particolarmente grave. Sull’Europa, l’economista ha posizioni note, particolarmente critiche nei confronti delle politiche di austerità propugnate dalla Germania. Anzitutto, spiega, l’errore fondamentale commesso dai tedeschi è stato di avere trasformato un problema “tecnico” in un fatto “morale”, ossia scindendo le politiche in giuste e sbagliate.
Senza euro, Grecia starebbe ora meglio
Se il progetto della moneta unica è senza ritorno, aggiunge, non c’è proprio speranza, i mercati avrebbe dovuto reagire negativamente a quell’affermazione di Draghi, riflette. E fa l’esempio della Grecia: se fosse stata lasciata libera di uscire dall’euro nel 2010, l’evento sarebbe stato traumatico, ma meno di quanto è accaduto da allora. Se, per ipotesi, la Spagna avesse subito gli effetti della crisi fuori dall’euro, la sua peseta si sarebbe molto deprezzata sui mercati e ciò avrebbe stimolato l’attività manifatturiera, così come il turismo.