Inflazione giù, tassi d’interesse della Banca Centrale Europea (BCE) su. Possiamo riassumere in termini piuttosto grossolani lo scenario a breve termine che ci attende. Venerdì 31 marzo, l’Eurostat ha reso noto il dato preliminare sui prezzi al consumo nell’Area Euro: +6,9% su base annua, giù dal +8,5% di febbraio e sotto le attese. Si è trattato del dato più basso dal febbraio 2022, cioè da 13 mesi a questa parte. Questo dovrebbe, in linea teorica, spingere Francoforte a cessare o perlomeno sospendere la stretta monetaria.

I risultati della sua azione si starebbero intravedendo, sebbene sia probabilmente più il crollo del prezzo del gas e di altre materie prime sui mercati internazionali ad avere agito al ribasso sui prezzi al consumo.

Tuttavia, i dati completi sull’inflazione non depongono a favore di uno stop al rialzo dei tassi BCE. Il dato “core”, al netto della componente energetica e dei generi alimentari, è salito dal 5,6% di febbraio al 5,7%. Segna l’ennesimo record nella storia dell’Area Euro. I “falchi” del Nord Europa guardano particolarmente a questo dato, preferendolo a quello dell’inflazione generale. Infatti, è assodato che il calo dei prezzi energetici stia tirando giù l’indice. Ma i rialzi si sono trasferiti sul resto del paniere. Ed è quello che più preoccupa il governatore Christine Lagarde e gran parte del suo board.

Inflazione core preoccupa Francoforte

In pratica, ogni volta che sui mercati si genera uno shock dell’offerta, com’è accaduto lo scorso anno con il gas e, in misura minore, con il petrolio, l’inflazione schizza repentinamente. D’altra parte, l’energia pesa per oltre il 10% del paniere Eurostat. Quando lo shock rientra, l’inflazione inizia a scendere significativamente. E questo in sé sarebbe un buon segnale per la banca centrale. Allo stesso tempo, si osserva un tendenziale rialzo dei prezzi di tutti gli altri beni e servizi non legati direttamente al bene oggetto dello shock.

Perché? Gli altri comparti dell’economia trasferiscono i rincari sui clienti. E gli stessi lavoratori non ci stanno a subire una perdita cospicua del potere di acquisto. Chiedono e, in molti casi, ottengono aumenti salariali legati ai tassi d’inflazione passati.

Questo fenomeno presenta il rischio di far attecchire stabilmente l’inflazione ai livelli alti del passato. Per interrompere il circolo vizioso, la BCE deve “raffreddare” le aspettative. Solo così gli agenti del mercato smetteranno di trasferire su beni e servizi i rialzi dei prezzi già accusati. Per agire sulle aspettative, però, serve aumentare i tassi d’interesse. Queste azioni colpiscono i consumi e gli investimenti, mentre incentivano i risparmi. La massa monetaria in circolazione si riduce. Un costo del denaro più alto si traduce in una minore richiesta di prestiti e mutui. I prezzi volgono al ribasso. In genere, ciò può portare a una recessione economica.

Tassi BCE in rialzo fino all’estate

Finché l’inflazione di fondo non avrà toccato il picco, la stretta sui tassi BCE non si fermerà del tutto. Il mercato è tornato a scontare 2-3 rialzi dei tassi dello 0,25% ciascuno. E’ stata cancellata così la paura che serpeggiava nei giorni più duri della crisi bancaria. A maggio, verosimilmente i tassi BCE di riferimento saliranno al 3,75%. Lo stesso a giugno e forse anche a fine luglio. Entro l’estate, i tassi smetteranno di salire. Ma la stretta non cesserà in automatico. La BCE continuerà ad acquistare bond in misura inferiore a quelli in scadenza. E’ il Quantitative Tightening (QT), fissato in 15 miliardi al mese fino a giugno e da ricalibrare in base alle necessità per dopo.

Il QT ridurrà la domanda di bond e agirà al rialzo sui rendimenti. In un certo senso, trattasi di un rialzo dei tassi BCE mascherato.

La conseguenza del programma, infatti, consiste nell’aumentare a cascata l’intero costo del denaro. Ovviamente, stiamo ragionando a trend macro invariati. L’arrivo di un’eventuale recessione avrebbe effetti calmieranti anche sull’inflazione di fondo e dissuaderebbe la BCE dal proseguire con la stretta.

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