I numeri pubblicati ieri dall’Ufficio Federale di Statistica tedesco non lasciano scampo: i prezzi alla produzione in Germania sono esplosi ad agosto del 45,8% su base annua e del 7,9% mensile, in accelerazione rispettivamente da +37,2 e +5,9% di luglio. La componente dell’energia ha trainato il boom con un +139% tendenziale e +20,4% rispetto al mese precedente. Chi pensava a Berlino che almeno il peggio fosse alle spalle, purtroppo dovrà ricredersi. Del resto, la stessa Bundesbank ha nei giorni scorsi avvertito i tedeschi che l’inflazione in Germania salirà al 10% e che la loro economia entrerà in recessione.

Prezzi in Germania sempre più su

Già a settembre dovrebbero vedersi i primi risultati del mancato rinnovo dello sconto sul carburante da parte del governo federale. Benzina e diesel sono rincarati e inevitabilmente ciò impatterà sull’inflazione, che era stata contenuta al 7,9% di agosto. E proprio i prezzi alla produzione ci segnalano prospettive fosche per l’economia tedesca. La loro esplosione o sarà scaricata sui prezzi al consumo o dovrà essere assorbita dalle imprese. Nel primo caso, l’inflazione schizzerebbe ancora più alle stelle, nel secondo i margini di profitto sarebbero ridotti, con ripercussioni negative sui livelli d’investimento e della stessa produzione.

In realtà, sta già accadendo un mix tra i due scenari un po’ in tutta Europa. Da un lato, gli aumentati costi di produzione sono scaricati sui prezzi finali, dall’altro le imprese più esposte alla concorrenza internazionale sono costrette a ridurre i profitti. Ma poiché non è possibile per molte di esse produrre anche solo temporaneamente in perdita, diverse attività si stanno fermando. I settori “energivori” tedeschi come la chimica, la farmaceutica e i produttori di mobili risultano i più colpiti. La Bundesbank vede nero anche per le costruzioni, sulle quali ricade anche il peso del rialzo dei tassi sui mutui.

Per il governo Scholz, entrato in carica nel dicembre scorso dopo la lunga era Merkel, si tratta di una missione impossibile.

Deve far sì che la Germania resti nel quadro delle alleanze occidentali contro l’aggressione russa dell’Ucraina, ma allo stesso tempo ha bisogno di affievolire il più e prima possibile la crisi energetica. I tedeschi non avevano mai patito problemi di forti rincari dai tempi dell’iperinflazione di un secolo fa. Ad essi si accompagna il deterioramento delle condizioni strutturali in cui ha potuto prosperare per decenni la loro economia: mercati commerciali aperti e bassi costi di produzione grazie al gas russo.

Vacilla l’euro

Certo, rispetto a quasi tutti gli altri partner dell’Eurozona la Germania dispone di margini fiscali con cui reagire alla crisi. Ma Berlino teme di percorrere le stesse tappe che nell’ultimo decennio ha portato tutte le grandi economie dell’area a indebitarsi a livelli inimmaginabili fino alla crisi finanziaria del 2008. Sa anche che può esercitare la sua leadership grazie particolarmente alla sua condizione invidiabile sul piano fiscale. Non vuole diventare una seconda Francia o, molto peggio, una più grande Italia.

Ad ogni modo, contro l’inflazione poco può fare il governo Scholz, se non premere sulla BCE dietro le quinte e tramite la Bundesbank per ottenere una stretta monetaria più decisa ed efficace. Fosse così semplice! Francoforte deve al contempo stare attenta a non innescare una crisi dei debiti nel Sud Europa. Se accadesse, l’euro rischierebbe la scomparsa. E la Germania non può permetterselo, a meno che non lo volesse, ad un certo punto rassegnata sul fallimento di un progetto politico ed economico lungo almeno tre decenni. Ma non siamo a questo punto, anche se più i prezzi salgono e più ci avviciniamo alla soglia massima di sopportazione in Germania.

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