Anche la Banca Nazionale Svizzera (BNS) dice addio ai tassi negativi, chiudendo un’era per l’Europa. Ieri, il governatore Thomas Jordan ha annunciato un secondo rialzo del costo del denaro dopo quello a sorpresa di giugno. Il ritocco è stato di 75 punti base o 0,75%. E così, i tassi d’interesse sono saliti da -0,25% a +0,50%. Dal 2015 fino a tre mesi fa, erano stati tenuti fermi a -0,75%. Con la Svizzera, cade l’ultimo bastione del Vecchio Continente che ancora perseguiva una politica monetaria non ortodossa.

La fine dei tassi negativi ha fatto volare il franco svizzero, che ieri scambiava a 0,96 contro l’euro, ai massimi da gennaio 2015, quando la BNS pose fine al cambio minimo di 1,20 contro la moneta unica. Da allora, l’istituto aveva perseguito un cambio minimo informale stimato in area 1,05. Ma quest’anno ha dovuto arrendersi all’evidenza e, in un certo senso, tollerare un rafforzamento del franco svizzero ben accetto per frenare la corsa dell’inflazione.

Tassi negativi via anche in Danimarca

L’economia alpina non è alle prese con un’inflazione alle stelle come la quasi totalità delle altre economie occidentali. Purtuttavia, i prezzi al consumo nel mese di agosto sono cresciuti del 3,5%, ai massimi dal 1993.

Giorni prima, la Danimarca aveva salutato i tassi negativi, alzandoli dello 0,75% a 0,65%. Ciò non significa, tuttavia, che le politiche monetarie in Europa si siano normalizzate. Ovunque, i tassi d’interesse giacciono a livelli profondamente inferiori a quelli dell’inflazione. Nella stessa Svizzera, i tassi reali si attestano al -3%. Ma il franco svizzero si rafforza per il semplice fatto che i tassi reali altrove siano ancora più bassi: -7,85% nell’Eurozona, -7,65% nel Regno Unito, -5,05% negli USA, ecc.

Super franco svizzero danno all’export

E’ rimasta la Banca del Giappone a mantenere i tassi negativi, non affannandosi a varare alcuna stretta monetaria per via della bassa inflazione domestica dopo decenni di deflazione strisciante.

E, però, lo yen scambia ai minimi dal 1998 contro il dollaro. Ieri, l’istituto è intervenuto per la prima volta proprio da 24 anni per offrire sostegno al cambio. Tornando alla Svizzera, è evidente come la strategia futura sui tassi dipenda dalle mosse della BCE. La BNS punta a stabilizzare il franco svizzero contro l’euro e per farlo deve mantenere sostanzialmente inalterato il differenziale sui tassi. Ad oggi, la BCE fissa i tassi di riferimento a 1,25%, tre quarti di punto in più dei livelli elvetici.

D’altra parte, un franco svizzero eccessivamente forte non farebbe bene all’economia alpina. A fronte di una minore inflazione, registrerebbe un maggiore disavanzo commerciale verso i paesi dell’Unione Europea, con cui già nel 2021 chiudeva in deficit di 33 miliardi di euro (4,8% del PIL). E questo, pur a fronte di una bilancia commerciale complessivamente positiva per oltre 47 miliardi, il 6,9% del PIL. L’export elvetico sostiene il PIL e un cambio troppo forte rischia di spegnerne la crescita.

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