Se c’era un obiettivo che il board della BCE si era fissato alla riunione di giovedì scorso, era di offrire sostegno al cambio euro-dollaro. Questo era arrivato a collassare sotto 0,99 per la prima volta dal 2002. Lunedì mattina, sfiorava già il tasso di 1,02, risalendo ai massimi da un mese. La BCE ha alzato i tassi d’interesse dello 0,75% dopo il +0,50% annunciato a giugno. Nel giro di sei settimane, il costo del denaro nell’Eurozona risulta così lievitato dell’1,25%. Non male per un’economia caratterizzata dal 2014 dai tassi negativi.

I capitali si spostano laddove riescono a spuntare rendimenti maggiori. E poiché la Federal Reserve ha iniziato ad alzare i tassi d’interesse prima e in misura più marcata della BCE, si sono diretti negli ultimi mesi verso il mercato americano. E così, valute come euro, sterlina e yen sono precipitati ai minimi da decenni.

Cambio euro-dollaro su contro inflazione importata

Perché alzare i tassi? Per ridurre la liquidità in circolazione e combattere l’inflazione, esplosa un po’ in tutto il mondo per via del boom dei prezzi delle materie prime. Ad ogni modo, l’indebolimento del cambio euro-dollaro accentua l’inflazione nell’Eurozona, poiché aumenta i costi dei beni importati. Inoltre, la sua discesa sotto la parità è stato un segnale molto negativo sulle aspettative che il mercato nutre riguardo allo stato di salute dell’area.

Reggerà la risalita sopra la parità? A giorni la FED alzerà anch’essa i tassi di un altro 0,75%. Questo scenario è già stato scontato dai mercati, per cui non ci aspettiamo significative variazioni del cambio euro-dollaro a seguito di tale annuncio. Diciamo che il cross risentirà nelle prossime settimane dell’andamento macro dell’Eurozona. A differenza degli USA, l’economia nel nostro continente sta indebolendosi per effetto della grave crisi energetica. La Russia sta riducendo le forniture di gas all’Europa, dove si prospetta un inverno al freddo e caratterizzato da consumi razionati di energia.

Rialzo tassi BCE poco convincente

Con l’economia sull’orlo del precipizio, la BCE potrà alzare i tassi con molto meno vigore rispetto alla FED. Questa diversa prospettiva tra le due sponde dell’Atlantico spinge il mercato a “shortare” il cambio euro-dollaro. In altre parole, il destino della moneta unica sul forex è solo in minima parte nelle mani di Francoforte. Esso resta perlopiù in balia delle future mosse della FED da un lato e del Cremlino dall’altro.

Ed è così che la BCE si trova costretta a cambiare approccio in politica monetaria. Dopo più di un decennio passato a sostenere non ufficialmente le esportazioni indebolendo il cambio euro-dollaro attraverso tassi negativi e acquisti di bond, adesso il paradigma è diventato di offrire sostegno al potere di acquisto minimizzando l’inflazione importata. Del resto, da economia esportatrice, l’Eurozona è passata ad essere in un attimo un’economia importatrice con il caro bollette. Se l’economia americana non darà segnali di cedimento, i tassi FED si porteranno probabilmente al 4% entro pochi mesi. Le distanze con i tassi BCE si amplieranno e l’euro si porterà nettamente sotto la parità con il dollaro. Il recupero di questi giorni potrebbe essere temporaneo.

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