Apparentemente, i giochi sarebbero chiusi. Ieri, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che guida la minoranza interna del PD, ha dichiarato che il 90% del partito sarebbe contrario all’intesa, replicando all’invito del governatore pugliese Michele Emiliano di stringere un’intesa con il Movimento 5 Stelle e ricordando come questi abbia ottenuto alle primarie appena il 10%. Cosa significa? Il segretario Matteo Renzi, che il presidente Matteo Orfini ha chiarito essersi “formalmente dimesso lunedì”, ha sancito la linea politica del PD: opposizione.

Considerato che ha dalla sua il 70% della base, in base alle primarie di aprile e tenuto conto di un altro 20% proprio di Orlando, nove decimi del partito non vorrebbe l’intesa con i grillini, compresa la minoranza, quindi. Sarà vero? Dietro le quinte, è probabile che qualcuno tra i “big” dem stia ancora trattando con gli emissari di Luigi Di Maio. Fanno gola le poltrone, in particolare, le presidenze di Camera e Senato e parrebbe che Dario Franceschini ambisca alla prima.

Lunedì, si terrà la direzione del PD e in quell’occasione dovremmo saperne di più, ma verosimilmente le parti terranno le carte coperte. Non sappiamo ad oggi nemmeno se il segretario dimissionario vi parteciperà. Se le truppe di ciascuno restassero fedeli alle indicazioni dei rispettivi generali, quante probabilità vi sarebbero di arrivare a un governo tra PD e M5S? Partiamo dai numeri. Il centro-sinistra possiede 60 seggi al Senato, compresi Emma Bonino e Pierferdinando Casini, oltre agli esponenti dell’SVP, la minoranza linguistica altoatesina. Di questi, i renziani eletti sono 34.

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Ora, la maggioranza assoluta al Senato richiede 158 seggi su 315, senza tenere conto dei 6 senatori a vita. L’M5S può contare di 112 senatori, di cui un paio in bilico, essendo stati espulsi dal movimento in campagna elettorale per lo scandalo “rimborsopoli”.

In ogni caso, ai grillini mancherebbero 46 seggi per raggiungere la maggioranza. Se tutto il centro-sinistra li appoggiasse, riuscirebbero a formare un governo, sostenuto da 172 senatori. Se lo facessero anche i 6 senatori a vita, il conto virerebbe in loro favore a quota 178. Tuttavia, scomputando i 34 renziani, ammesso che il blocco attorno al segretario uscente resti compatto, nel migliore dei casi l’M5S disporrebbe di 144 seggi, lontano da qualsiasi maggioranza assoluta.

E Salvini?

A quel punto, possiamo immaginare che Matteo Salvini abbia maggiori chance come premier? Il centro-destra di senatori ne ha 138. Gliene servirebbero almeno 20 per ambire al governo (alla Camera, gli mancano 53 deputati), ma se tutti i senatori a vita votassero contro o si astenessero (al Senato, l’astensione equivale a voto contrario), avrebbero bisogno di 23 apporti esterni, affinché la fiducia si chiudesse con 161 sì e 160 no. In teoria, un governo Salvini potrebbe nascere o dall’intesa tra il leader leghista e i renziani (172 seggi disponibili) o dall’intesa con la minoranza PD e il resto del centro-sinistra (maggioranza di 164 seggi). Tuttavia, se il secondo scenario appare da escludere a priori, date le divergenze ideologiche e programmatiche tra centro-destra e ala sinistra del PD, nemmeno l’accordo con tutta l’area renziana appare granché probabile. Semmai, Salvini potrebbe sperare di raccogliere il consenso tra singoli esponenti dem, nulla di più.

E allora? Ecco uno scenario possibile, per quanto ad oggi se ne tacciano le prospettive. Il presidente Sergio Mattarella, concluse le consultazioni, chiama al Colle Luigi Di Maio e gli conferisce il pre-incarico. Non sarà formalmente investito come premier, ma dovrà salire nei giorni successivi con in tasca una maggioranza. Se, come appare attualmente molto probabile, fallisse, spetterà a Matteo Salvini. Molto probabilmente, anch’egli non riuscirà a formare una maggioranza di sostegno al suo governo e a questo punto, il capo dello stato potrebbe vagliare come ipotesi figure esterne agli schieramenti, possibilmente non ostili all’M5S, che uscendo vincitore delle elezioni, gli sarebbe riconosciuto un ruolo di “kingmaker” nella legislatura.

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Governo di transizione, ma per quanti mesi?

Resta improbabile che i grillini accettino di sostenere un governo insieme a centro-destra e PD, che non sia da loro guidato. Da qui, la prospettiva seria che a sostenerlo siano il centro-destra e la parte renziana del PD. A Palazzo Chigi andrebbe una figura non sgradita a Salvini, ma non riconducibile alla Lega. Il governo durerebbe pochi mesi, giusto il tempo di riscrivere (forse) la legge elettorale o almeno di aggiustarla, nonché di gestire la transizione verso nuove elezioni in autunno. Difficile, infatti, che duri di più. C’è un problema in questo scenario: cosa accadrà al PD, se mezzo partito andasse al governo o lo sostenesse dall’esterno e mezzo no. Sarebbe la fine. D’altra parte, Renzi è consapevole che così com’è, il Nazareno non regge a lungo e potrebbe intestarsi una battaglia personale, uscendo dal PD e creandosi un partito di stampo “macroniano” e più prettamente centrista, con l’ambizione di ereditare i voti di Forza Italia. La sinistra del partito si ritaglierebbe uno spazio e insieme all’abortito LeU di Pietro Grasso darebbe vita a un soggetto dai tratti identitari più definiti, che potrebbe anche continuarsi a chiamare Partito Democratico, inglobando quell’area che fa capo a Franceschini, Paolo Gentiloni e Romano Prodi, che scalpita per sbarazzarsi del segretario.

Salvini sosterrebbe un esecutivo di larghe intese, o meglio, la cui maggioranza verrebbe allargata ai renziani, in cambio della leadership del centro-destra, potendo presentarsi alle successive elezioni con l’investitura ufficiale di candidato premier della coalizione. In alternativa, minaccerebbe un’alleanza transitoria con l’M5S al governo, scenario che inorridisce Silvio Berlusconi. Quanto proprio ai grillini, difficile che i loro consensi all’opposizione scemino, anzi potrebbero salire ulteriormente, magari risucchiando un PD al collasso per le faide tra renziani e minoranze.

Ma dinnanzi a sondaggi che dessero i pentastellati al 35% o oltre, implicando una percentuale al sud intorno al 50%, chi se la sentirebbe di tornare alle urne? Interrogativi che verrebbero sciolti strada facendo. Per adesso, siamo allo stallo istituzionale e al caos dentro il PD.

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