Intervenendo alla trasmissione domenicale su Rai Uno, condotta da Pippo Baudo, un “calmo” premier Paolo Gentiloni ha difeso il suo governo dagli eventi tellurici di questi giorni, che stanno travolgendo la figura del predecessore Matteo Renzi, il cui padre è stato tirato in ballo per un presunto giro di mazzette, derublicandoli a “storielle di corruzione”. Ha sentito l’esigenza, però, di esternare la volontà di dare all’esecutivo una scossa riformatrice, di creare un’agenda delle riforme, che punti al taglio delle tasse.

In ballo ci sarebbe una decina di miliardi, da destinare alla riduzione del cuneo fiscale, ovvero all’abbattimento della pressione fiscale sui redditi da lavoro.

Il premier ha parlato della necessità di usufruire maggiore “flessibilità” allo scopo, espressione che implica la richiesta da parte dell’Italia alla UE di poter spuntare un deficit più alto. Per essere più chiari, il governo Gentiloni vorrebbe tagliare le tasse in deficit. Nei giorni scorsi, il ministro allo Sviluppo, Carlo Calenda, aveva preso le distanze dalla politica dei bonus del precedente esecutivo, tacciandola di essere una “scorciatoia”, non in grado di creare crescita. (Leggi anche: Governo Gentiloni volta le spalle ai bonus di Renzi)

UE: spostare tasse da lavoro a consumi

L’alternativa sarebbe, quindi, il taglio del cuneo fiscale a debito? Se due indizi iniziano a fare una prova, l’esito di uno studio della Commissione UE realizzato sull’Italia potrebbe farci capire meglio quanto potrebbe accadere nei prossimi mesi. Bruxelles spiega, che alzando l’IVA sui beni primari dal 10% al 13% e utilizzando il maggiore gettito fiscale per abbattere la pressione fiscale sul lavoro, farebbe crescere del 3% il reddito disponibile delle fasce medio-basse della popolazione. Lo studio prende in esame anche l’innalzamento dell’IVA dal 22% al 24%, contemplato nelle clausole di salvaguardia, che scatterebbero dall’anno prossimo, ma raccomanda di agire più che altro sull’IVA più bassa, in modo da tagliare le agevolazioni fiscali.

Come si metterebbe insieme l’esigenza del governo italiano di ridurre il carico fiscale sui redditi da lavoro e quello della UE di ottenere una riduzione del nostro deficit pubblico? Per ragioni di realismo politico (le ennesime), Bruxelles e Roma potrebbero incontrarsi a metà strada: l’Italia otterrebbe il taglio del cuneo fiscale in deficit per un massimo di 10 miliardi, ma in cambio dovrebbe mettere mano a un super-manovra da 20 miliardi a copertura delle clausole di salvaguardia. Poiché l’importo sarebbe rilevante e di tagli alla spesa pubblica in un periodo pre-elettorale risulterebbe difficile farne, il governo lascerebbe probabilmente scattare parte degli aumenti IVA, coprendo solo la differenza. (Leggi anche: Clausole di salvaguardia, se Gentiloni dovrà fare il lavoro sporco)

Il rischio di una manovra recessiva

Nelle speranze dei commissari, ciò dovrebbe rassicurare in parte i mercati sul percorso di riduzione del nostro disavanzo fiscale, al contempo spostando il peso della tassazione dal lavoro ai consumi, a beneficio della crescita. Il piano è concreto, ma inutile ribadire che l’esercizio teorico si scontra con una realtà ben diversa da quella simulata dai funzionari di Bruxelles. La tassazione sui consumi è già elevatissima nel nostro paese, più che nella gran parte delle altre economie OCSE e i precedenti degli ultimi anni hanno dimostrato ampiamente che fare leva sull’IVA danneggia i consumi e il pil, senza nemmeno migliorare i conti pubblici.

Che serva un taglio deciso al cuneo fiscale è lapalissiano; che sia auspicabile farlo con altre tasse, molto, molto inopportuno. Con una domanda interna definita “debole” da Confindustria e di scarso sostegno alla crescita economica in questa fase, il rischio di questa manovra è di far scivolare l’Italia verso una nuova spirale recessiva e la rassegnazione che tagliare le tasse sia possibile solo alzandone di altre e non tagliando la bambagia da circa 760 miliardi di euro di spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito.

(Leggi anche: Ripresa economica lenta per domanda interna debole)