Tramite il suo portavoce, il presidente della Tunisia, Kais Saied, ha fatto sapere che intende far parte del gruppo dei BRICS dopo che anche l’Algeria ha avanzato richiesta in tal senso e dovrebbe entrarvi l’anno prossimo. La sigla sta per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, le economie emergenti individuate già a inizio millennio quale punta di diamante di un più vasto gruppo di paesi in ascesa sul piano dello sviluppo. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha stanziato a favore dello stato nordafricano 1,9 miliardi di dollari da un anno, ma non ha ancora erogato la somma per via del mancato accordo sulle condizioni finanziarie richieste al governo.

Saied non ha alcuna intenzione di adottare le misure di austerità fiscale pretese dall’ente in cambio dei prestiti.

Tunisia batte cassa ai BRICS

La posizione della Tunisia non è isolata. Una dozzina di stati, tra cui Argentina, Arabia Saudita e Algeria ha fatto richiesta di adesione al gruppo, mentre altri come l’Egitto, Uruguay, Emirati Arabi Uniti e Bangladesh ne fanno già parte dal 2021. E non si tratta solo più di partecipare a qualche riunione di rito colorata ogni tanto. Sin dal 2014 i BRICS hanno fondato la Nuova Banca per lo Sviluppo, che dispone di un capitale di 50 miliardi di dollari e che con l’Accordo sui Fondi di Riserva può arrivare a 100 miliardi. Chiaramente, più numerosi sono i membri “ricchi” e maggiori le disponibilità finanziarie.

L’istituto ha sede a Shanghai e attualmente risulta essere presidente tale Dilma Rousseff, ex capo dello stato brasiliano. Ad oggi, è stato poco sfruttato. La Cina, che ne è il membro più grande e autorevole, ha preferito fare affidamento sui prestiti bilaterali per garantirsi un ampio numero di stati satellite, specie in Asia. Nel solo 2021, aveva sborsato 40,5 miliardi di dollari per assistere finanziariamente alcune economie emergenti in affanno.

Dal 2010 al 2022, i prestiti cinesi hanno ammontato a 240 miliardi, quasi tutti a beneficio di coloro che hanno sottoscritto il memorandum d’intesa per la nuova Via della Seta.

Alternativa a FMI e Banca Mondiale

In pratica, i BRICS si sono fatti la loro banca in alternativa alle istituzioni finanziarie dell’Occidente: Banca Mondiale e FMI, nati nel 1944 dagli accordi di Bretton Woods. Le economie emergenti lamentano condizioni rigide per accedere ai prestiti di questi organismi. Rifiutano, in particolare, le misure di austerità fiscale, considerate necessarie dai paesi creditori per non rischiare di buttare soldi in un pozzo senza fondo e per consentire al debitore di rimettersi in piedi da sé in futuro. Il punto è che oggi possono permettersi di alzare la voce, perché esiste una crescente alternativa agli organismi internazionali dell’Occidente.

Questo non significa che i BRICS prestino denaro incondizionatamente. Tutt’altro. Solo che perseguono una politica di “soft power” per mezzo di prestiti elargiti a condizioni apparentemente meno severe. In cambio, l’assoggettamento geopolitico ed economico-finanziario è servito. La Cina ha conquistato l’Africa a colpi di miliardi elargiti ai governi richiedenti, prendendosi in cambio il controllo delle infrastrutture locali e infittendo le relazioni commerciali e finanziarie. Almeno nel breve periodo, per un gruppo crescente di emergenti il gioco vale la candela.

Emergenti meno remissivi con Occidente

E’ un brutto segnale per l’Occidente. Banca Mondiale e FMI sono stati il braccio finanziario con cui ha potuto estendere la propria influenza in gran parte del pianeta. Prestiti in cambio di riforme sono stati una costante negli ultimi quaranta anni. In un certo senso, ha potuto plasmare lo sviluppo di stati del Terzo Mondo secondo il proprio modello di economia di mercato, aperta e tendenzialmente stabile sotto il profilo monetario e fiscale. Il multipolarismo che si sta ri-affacciando per la prima volta dalla dissoluzione dell’Urss, cambia le carte in tavola.

I paradigmi stanno cambiando. La concorrenza tra istituzioni finanziarie di appartenenza geopolitica contrapposta offre alle emergenti una possibilità apparente di scelta nel breve. E i BRICS hanno tutta l’intenzione di sfruttare la frustrazione tra miriadi di stati in Asia, Africa e America Latina per fare proselitismo e sottrarre pezzi di continenti all’influenza occidentale.

Il caso tunisino è emblematico. Dopo mesi e mesi di trattative e colloqui con l’Unione Europea, la crisi economica sociale sta degenerando e il governo si è spazientito, rivolgendosi ai BRICS con annessa cassa. Ciò rende sempre meno attraente stringere accordi con le istituzioni occidentali e la nostra sfera d’influenza rischia di restringersi. Basti pensare a come il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Felix Tshisekedi, ha di recente trattato a pesci in faccia l’omologo francese Emmanuel Macron durante una visita di questi a Kinshasa e davanti alle telecamere. In altri tempi, tanto sarebbe bastato per destituire un capo di stato con altri leader meno ribelli all’Occidente. Oggi, la musica è cambiata.

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