Da anni siamo abituati a cifre sull’economia italiana che ci pongono sempre in fondo alle classifiche europee per tasso di crescita, stipendi, occupazione e conti pubblici. Il pessimismo si è così profondamente radicato nel nostro modo di pensare da non riuscire spesso più a vedere i fatti positivi che eppure si svolgono sotto i nostri occhi. Il 2022 era iniziato pieno di speranze dopo la crescita esplosiva dell’anno precedente. Il rimbalzo del PIL post-pandemia aveva suscitato aspettative naufragate con lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina.

Lo shock energetico è stato così imprevisto e duro, che dall’uomo della strada fino al governo si era diffusa la rassegnazione di un’implosione spaventosa per l’economia italiana.

Invece, le cose sono andate molto diversamente. Venerdì scorso, l’ISTAT ci ha informati che la produzione industriale a dicembre è salita dell’1,6% (dato destagionalizzato) su novembre. Su base annua, il dato corretto per gli effetti del calendario segnava +0,1%. Nell’intero 2022, siamo a +0,5%. Malgrado tutto, siamo riusciti a reagire allo shock. A trainare l’ultimo mese dell’anno sono stati i beni strumentali: +3,1% mensile e +9,9% annuale. E questo significa che le imprese italiane sono tornate ad investire dopo mesi di stop. Quanto al PIL, +3,9% sul 2021. Superate le previsioni dei mesi scorsi.

Economia italiana e Germania a confronto

Nel frattempo, le previsioni sono state smentite al ribasso in Germania. La produzione industriale tedesca a dicembre è diminuita del 3,1% su novembre e del 3,9$ su base annua. Nell’intero 2022, ha segnato -0,6%. Rispetto al mese precedente, beni strumentali invariati. In altre parole, l’economia tedesca senza il gas a basso costo dalla Russia sta implodendo. L’economia italiana, abituata a galleggiare da una crisi all’altra ormai da decenni, si sta rivelando molto più “resiliente” delle previsioni, per usare un termine in auge in questa fase.

Scadere nel revanchismo è facile e sarebbe un errore.

La Germania ha visto salire gli stipendi in termini reali tra il 1990 e il 2020 del 33,70%, cioè alla media annua dell’1%. Pur non essendo un dato estremamente entusiasmante, non c’è raffronto con il -2,9% dell’Italia. Un lavoratore del Bel Paese praticamente guadagna in termini reali meno di quando ospitammo i mondiali di calcio per l’ultima volta. Sullo stesso PIL c’è da mettersi le mani nei capelli: tra il 2007 e il 2019, quello italiano era diminuito di oltre il 4% reale contro il +15% messo a segno dalla Germania.

E vogliamo parlare dell’occupazione? Lavorano più di 3 tedeschi su 4 in età lavorativa contro il 60,5% degli italiani. Le distanze restano ampie, ma le ultime tendenze che stanno emergendo dai dati macro vedono l’economia italiana tentare un inaspettato recupero. E’ come se dinnanzi alle difficoltà confermassimo la nostra capacità di trasformare un male in una ciambella di salvataggio. L’economia tedesca probabilmente è stata fin troppo a lungo abituata alla pacchia da non riuscire a reagire al primo imprevisto.

Boom export e fiducia imprese

C’è molto più di concreto di quanto pensiamo in questa affermazione. Le crisi, schumpeterianamente parlando, comportano costi e sofferenze, ma l’altra faccia della medaglia è che creano opportunità. Se superi un’avversità, diventi più forte. Soprattutto, durante una crisi le imprese meno efficienti chiudono e sul mercato rimangono le più forti. Sono quelle più capitalizzate, innovative, capaci di trovare quel colpo di genio per farsi strada, le più affamate di successo, le più snelle ed efficienti. Chi vive nella bambagia, non è indotto a ristrutturarsi, a tagliare i costi superflui, a ripensare al suo modo di produrre. Magari non sta (ancora) succedendo tutto questo, ma c’è di vero che nell’anno passato le esportazioni italiane hanno toccato il record stimato in 650 miliardi, di cui 60 relativi all’agroalimentare.

Gli stessi dati sul mercato del lavoro attestano il recupero in corso dell’economia italiana. Cresce il numero degli occupati, a testimonianza del fatto che gli italiani le opportunità, quando ci sono, le colgono. A gennaio, la fiducia tra le imprese è migliorata, tra le famiglie è peggiorata. Ma sono le prime ad avere generalmente il polso della situazione in anticipo di qualche mese, avendo maggiore contezza dei costi di produzione. Le seconde accusano ancora, invece, il colpo del caro bollette. Anche il Fondo Monetario Internazionale intravede una crescita, pur solo dello 0,6%, per l’Italia quest’anno. Ad ottobre, paventava una leggera flessione del PIL. Non va certamente tutto bene, ma per la prima volta dopo tanto tempo possiamo affermare senza una qualche malafede che non va più tutto male. Abbiamo smesso di sostare nei bassifondi delle classifiche.

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