Se c’è un’immagine plastica di come stiano andando le cose in Europa sul piano geopolitico, sarebbe sufficiente guardare alla foto che ritrae il premier britannico Boris Johnson insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev. Risale al mese di aprile, stesso periodo in cui al presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier senza giri di parole fu detto a mezzo stampa di non essere gradito per un eventuale viaggio in Ucraina. La sua colpa? Rappresentare una Germania avida di denaro, che non avrebbe intenzione di sganciarsi da petrolio e gas russi.

Crisi energetica su petrolio e gas per rincorrere Londra

In questi giorni, l’Unione Europea sta cercando, invece, una difficile mediazione con l’Ungheria di Viktor Orban per tendere all’embargo totale ai danni del petrolio russo entro l’anno. Sul gas serve ancora tempo, data la forte dipendenza del continente e specie di paesi come Germania, Italia e Austria. Berlino ha opposto resistenza all’ipotesi dello stop totale alle importazioni, poi ha ceduto alle pressioni internazionali, non ultime dell’amministrazione Biden.

Tuttavia, i tedeschi sembrano avere preso coscienza che il premier Johnson stia giocandosi a Kiev una partita ben più importante di quella legata alla sola sconfitta della Russia di Vladimir Putin. Per dirla con le parole di Federico Fubini sul Corriere della Sera, Londra starebbe creando una “internazionale sovranista”. Allo scopo, sta facendo asse con Ucraina, Polonia e gli stati baltici (Lettonia, Lituania ed Estonia). Trattasi di paesi fortemente spaventati dalle future mosse di Mosca e sfiduciati su una possibile risposta pronta ed energica dell’Unione Europea.

I britannici appaiono ancora più veementi dell’America nel chiede che l’Europa rinunci del tutto a petrolio e gas russi. E giocano evidentemente su un terreno loro vantaggioso. Londra non importa un solo metro cubo di gas da Mosca, rifornendosi principalmente da Norvegia e USA.

E le importazioni di greggio russo sono bassissime, qualcosa come meno di 75.000 barili al giorno. Di fatto, le hanno già rimpiazzate senza problemi. Ricordiamoci che al largo delle coste scozzesi il paese dispone di giacimenti petroliferi, i quali quasi gli garantiscono l’indipendenza dall’estero.

Johnson e il nuovo accordo sulla Brexit

Al fine di non perdere alleati nell’Europa Orientale, i commissari stanno rincorrendo Johnson sul piano dell’embargo contro petrolio e gas dalla Russia. Il punto è che, così facendo, rischiano di mandare l’economia europea in recessione. Dunque, indebolirsi un po’ economicamente per non indebolire troppo geopoliticamente? Comunque vada, una sconfitta. Nel frattempo, non a caso Johnson è tornato ad alzare la voce sulla Brexit. L’accordo siglato nel 2019 non soddisfa Londra su un punto specifico: il Protocollo d’Irlanda.

Da un punto di vista commerciale, l’Irlanda del Nord è rimasta inglobata nel mercato unico, pur essendo parte del Regno Unito. Una lesione all’orgoglio nazionale, che anche all’atto pratico sta provocando diversi paradossi. Alcune merci dalla Gran Bretagna (Inghilterra, Scozia e Galles) non possono transitare verso l’Irlanda del Nord liberamente, dovendo essere sottoposte a controlli doganali. Viceversa, tutte le merci transitano senza problemi tra le due Irlande. Un po’ come se scattassero controlli sulle merci trasportate tra Sicilia e Calabria, mentre tra Sicilia e Malta si potesse commerciare liberamente.

Johnson sa che può pretendere la rinegoziazione dell’accordo in una fase in cui Bruxelles desidera meno problemi possibili, oltre a quelli che già ha sul fronte bellico. L’Europa sta rimanendo succube dei piani geopolitici di un suo ex membro, incapace di crearsi uno spazio di manovra autonomo. Il meglio che possa fare, sembra essere di auto-infliggersi una recessione economica tramite una crisi energetica, al solo fine di non lasciar fare a Johnson troppo il gallo.

Londra ha già vinto la sua personale “guerra” con l’Europa continentale.

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