Dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008-’09, le banche centrali iniziarono ad azzerare i tassi d’interesse e a iniettare liquidità sui mercati, tra l’altro acquistando titoli di stato e obbligazioni private. L’obiettivo primario di queste misure in parte “non convenzionali” consistette nel sostenere i prezzi al consumo ed evitare che le economie scivolassero nella deflazione come negli anni Trenta del secolo scorso. Ma vi fu allora un obiettivo non dichiarato, seppure abbastanza evidente: vincere la “guerra valutaria” svalutando il proprio tasso di cambio, così da sostenere le esportazioni e, di riflesso, la crescita dell’economia.

Non a caso, la BCE che perse un po’ più di tempo per imitare le azioni della Federal Reserve, finì per rischiare la deflazione, anche a causa di un euro relativamente forte.

Lotta globale all’inflazione

In questi mesi, sta ripetendosi quello scenario. Le banche centrali alzano i tassi contro l’inflazione, ritirano gli stimoli monetari per ridurre la liquidità sui mercati e, nei fatti, stanno ingaggiando una nuova guerra valutaria. Solo che stavolta l’obiettivo non è più di svalutare ciascuna il proprio tasso di cambio, ma al contrario di rafforzarlo. Il dollaro guadagna quest’anno mediamente il 10% contro le principali valute mondiali. Questo trend sta acuendo l’aumento dei costi d’importazione, dato che numerose materie prime si comprano in dollari.

Nell’Eurozona, il cambio euro-dollaro è sceso a maggio e poi nuovamente pochi giorni fa ai minimi dal 2002, cioè sotto 1,04. E proprio questo dato ha fatto scattare l’allarme alla BCE, dove i governatori centrali hanno notato che di questo passo l’inflazione nell’area rischia di accelerare per via dell’euro debole. Da qui l’annunciato rialzo dei tassi, che sinora ha avuto forse il merito di avere arrestato la caduta del cambio.

Guerra valutaria e ritardi della solita BCE

Se persino la Banca Nazionale Svizzera ha alzato i tassi e ha eliminato il riferimento al franco svizzero come “altamente sopravvalutato”, significa che proprio nessuno voglia in questa fase indebolire anche solo indirettamente il cambio.

E forse non c’entra solo l’inflazione, ma più in generale la credibilità della moneta fiat. Le “criptovalute” si sono diffuse come la sabbia in spiaggia negli ultimi anni. Ve ne sono diverse migliaia in circolazione, di cui la stragrande maggioranza appaiono essere uno schema Ponzi a tutti gli effetti. Ma il loro fiorire deriva sia dall’abbondante liquidità esistente sui mercati a causa delle politiche ultra-espansive delle banche centrali, sia dalla crescente sfiducia sui riflessi che queste hanno sulla tenuta dei cambi e del potere d’acquisto.

Questa guerra valutaria in corso mira a riacquistare parte della fiducia perduta in un decennio abbondante di stamperie e stramberie, come l’introduzione dei tassi negativi, un abominio economico. Sarà un caso, ma il mercato delle crypto è collassato nelle ultime settimane, tra minore liquidità, calo della propensione al rischio e forse timido ritorno alla fiducia verso le monete fiat. Ma come per ogni guerra valutaria, se tutti svalutano/rivalutano i cambi, è come se nessuno svalutasse/rivalutasse. Per avere successo serve fare prima e più degli altri. E la BCE sta rimanendo troppo indietro, così come lo era rimasta una decina di anni fa. Allora sfiorammo la deflazione, mentre adesso rischiamo una duratura inflazione galoppante.

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