Mentre il cambio euro-dollaro si avvicina alla parità per la prima volta dopo venti anni, la conferma che questa non sia una fase positiva per la moneta unica arriva dal Fondo Monetario Internazionale. L’istituto ha rivisto la composizione dei suoi “Diritti Speciali di Prelievo”, vale a dire le riserve valutarie composte da un paniere di divise internazionali. Ha deciso così di aumentare il peso di due di esse, riducendo quello di altre tre, tra cui l’euro. In particolare, l’incidenza del dollaro è stata innalzata dal 41,73% del quinquennio 2017-2021 al 43,38%.

Quella dello yuan sale dal 10,92% al 12,28%. Invece, scende dal 30,93% al 29,31% la quota spettante all’euro, dall’8,33% al 7,59% quella dello yen e dall’8,09% al 7,44% quella della sterlina.

Il Fondo Monetario certifica la crisi dell’euro

In sostanza, l’euro non è l’unica valuta che esce “bocciata” da questa rivisitazione quinquennale del Fondo Monetario, ma si tratta di una magra consolazione. La moneta unica nasceva fisicamente una ventina di anni fa proprio tra l’altro per scalfire il ruolo strabordante del dollaro e affiancarlo nel sistema dei pagamenti internazionali. L’obiettivo non può dirsi ad oggi raggiunto.

Tornando alla decisione del Fondo Monetario, essa si basa su due criteri fondamentali: il peso di ciascuna valuta sugli scambi commerciali globali e la sua libera utilizzazione sui mercati. Lo yuan è stato promosso proprio per la resilienza mostrata dall’economia cinese durante la pandemia. Lo scorso anno, gli interscambi commerciali tra Cina e resto del mondo hanno toccato per la prima volta i 6.000 miliardi di dollari. Sebbene nell’ultimo mese lo yuan abbia perso oltre il 6% contro il dollaro, negli ultimi anni la valuta cinese si è rafforzata ed è diventata un elemento di stabilità in questa fase bellica.

La corsa dello yuan prosegue

Il Fondo Monetario inserì lo yuan tra le sue riserve nel 2016. La Banca Popolare Cinese ha accolto positivamente la notizia e ha promesso che profonderà ulteriori sforzi per rendere il mercato cinese più conveniente agli investimenti cinesi.

Dicevamo, euro bocciato. E fa male. Nel 2005, la quota spettante alla moneta unica era ancora del 34% e quella del dollaro del 44%. Da allora, il biglietto verde ha mantenuto quasi intatta la propria quota, pur a fronte dell’ingresso dello yuan nel paniere, mentre l’euro è crollato sotto la soglia del 30%, tornando ai livelli del 2000 (29%).

Brutto colpo chiaramente anche per sterlina e yen, che esordivano nel nuovo millennio rispettivamente a 11% e 15%. Numeri che bene esprimono la caduta d’importanza di alcune economie rispetto alle nuove realtà che avanzano. Il peso dello yuan risulta, peraltro, nettamente inferiore a quello che ha l’economia cinese nel mondo. Ciò è conseguenza dell’opacità del cambio, che Pechino tiene ancorato a un paniere di divise straniere con pesi ignoti al mercato. In altre parole, la valuta cinese non è ancora del tutto libera di muoversi sul mercato forex e per questo la sua adozione sia per gli scambi commerciali e finanziari, sia da parte del Fondo Monetario Internazionale resta limitata.

I Diritti Speciali di Prelievo furono innalzati nel 2021 di 650 miliardi di dollari, a seguito di una decisione del board del Fondo Monetario definita “storica” dai media internazionali. Tale misura ha consentito ai paesi più poveri alle prese con le spese sanitarie contro la pandemia di accedere a liquidità supplementare e “gratuitamente”. L’Italia ha teoricamente diritto ad accedere a circa altri 20 miliardi di dollari delle sue riserve.

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