Questa settimana, il Senato ha bocciato l’emendamento presentato dal senatore Claudio Lotito per prorogare di due anni l’assegnazione dei diritti TV del calcio. Contro si sono espressi in 158, a favore 3 e 3 sono stati gli astenuti. La Lega di Serie A ci contava per sperare di guadagnare tempo ed evitare un bagno di sangue alla prossima asta per il triennio 2024/2027. Ma il governo Meloni ha dato parere contrario. In primis, perché Lotito è anche presidente della società Lazio e l’esecutivo non vuole dare l’immagine di avallare possibili conflitti d’interesse.

La proroga dei contratti sarebbe avvenuta, oltretutto, all’infuori della gara, cioè per mezzo di trattative private. E venendo alla sostanza, avrebbe in mente una riforma dell’intero sistema con qualche ipotesi clamorosa, per non dire rivoluzionaria: riportare le partite di Serie A in chiaro, cioè nelle reti non a pagamento come Mediaset e RAI.

Diritti calcio in calo

C’è chi parla di fine delle pay tv. E questo è senz’altro esagerato. Tuttavia, che il settore sia gravemente malato non è un mistero. Nel 2021, i diritti del calcio di Serie A furono assegnati per soli 927,5 milioni di euro all’asta per il triennio 2021/2024. Sky si fece da parte dopo un ventennio di dominio indiscusso sul mercato italiano. Riuscì a garantirsi solo 3 partite e neppure in esclusiva. L’assegnazione andò a Dazn e TIM. L’asta per il triennio 2024/2027 fa tremare la Lega di Serie A, perché le previsioni attualmente indicano un calo degli incassi per 200 milioni all’anno.

L’AD di Lega, Luigi De Siervo, sostiene che ci sarebbero due gravi problemi a cui la politica non avrebbe ancora rimediato. Il primo riguarda la durata dei diritti del calcio, che negli altri campionati è di cinque anni. L’accorciamento a tre anni limiterebbe gli investimenti dei nuovi player. E poi c’è la pirateria, il cui costo per le pay tv sarebbe stimato in 300 milioni all’anno.

Servirebbe un meccanismo, spiega, che riesca a bloccare i siti pirata in pochi minuti. Fatto sta che la Lega si avvicina alla prossima asta con la stessa felicità con cui un condannato a morte s’incammina verso la sala della sua esecuzione.

Abbonamenti cari e costi insostenibili

Il governo starebbe assecondando l’ipotesi di riportare le partite di Serie A in chiaro. Ci sarebbe un interesse di Mediaset e RAI, i due principali gruppi televisivi sul mercato domestico. Non sappiamo ancora se la Lega stia prevedendo nel suo bando l’istituzione di appositi pacchetti per le TV in chiaro ed eventualmente con quali criteri. Il costo che il Biscione e Viale Mazzini dovrebbero sostenere per trasmettere le gare sarebbe elevato. Ed è evidente che sarebbero interessati nel caso alle fasce orarie di punta, come le gare alle ore 20.45 il sabato e la domenica.

Ma la crisi del calcio impone soluzioni drastiche, di ripensare profondamente al modello sin qui seguito. Abbonamenti sempre più cari, ascolti in calo e interesse che va scemando di campionato in campionato. Non sarà che i redditi degli italiani non permettano più di destinare esborsi crescenti a milioni di famiglie? E non sarà che, a forza di restringere la platea di chi può permettersi di abbonarsi, alla fine lo sport più popolare in Italia sia diventato elitario? Il tema non è solo italiano e, soprattutto, c’entra l’enorme concorrenza tra top club europei per strapparsi a vicenda i migliori talenti. Tutto ciò ha gonfiato stipendi ai giocatori e commissioni ai loro agenti, costringendo le società a pretendere dai diritti TV incassi sempre più alti e insostenibili per le emittenti.

Crisi risultati Serie A

Il calcio in chiaro per il momento resta una suggestione supportata sul piano politico dal governo di centro-destra.

Affinché il sogno per milioni di tifosi possa concretizzarsi, sarà necessario far quadrare gli interessi contrapposti: quelle delle società di calcio di continuare ad incassare un flusso stabile di entrate dai diritti e quello delle reti generaliste di addossarsi costi sostenibili e che valgano l’investimento. Un’alternativa per il momento consisterebbe nella ripresa delle trattative con i fondi d’investimento, che due anni fa offrirono 1,7 miliardi per rilevare il 10% per dieci anni della media company della Lega, la società che gestirebbe i diritti.

Ma colpevolmente furono proprio i club a respingere l’offerta. Ciononostante, le offerte fino a 2 miliardi non mancherebbero. Sarebbe una boccata di ossigeno per il calcio italiano. L’unica certezza è che la Serie A non potrà arrivare alla prossima asta in queste condizioni. Più passano gli anni e maggiore il distacco con gli altri principali campionati europei in termini sia economici che di risultati sportivi. Perché i due aspetti camminano assieme. L’ultima Champions League vinta da una squadra italiana risale ormai al lontano 2010 (Inter). E l’ultima finale disputata da un’italiana fu nel 2017 (Juventus). Per l’ultimo Pallone d’Oro dobbiamo risalire al 2007 con Kakà al Milan.

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