Ha ripreso a salire il debito pubblico italiano nel mese di febbraio. Lo stock è risultato di 2.772,046 miliardi di euro, a +21,6 miliardi rispetto ai 2.750,449 miliardi di gennaio. Lo ha reso noto ieri la Banca d’Italia nella nota mensile sulla finanza pubblica, spiegando che la crescita è dovuta per 12,9 miliardi al fabbisogno mensile e per 8,6 miliardi all’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro a 43,3 miliardi. Marginale (+0,1 miliardi) l’effetto di scarti e premi di emissione dei titoli di stato, della rivalutazione legata all’inflazione per i titoli indicizzati e della variazione dei tassi di cambio.

La vita media del debito pubblico è rimasta invariata rispetto a gennaio a 7,7 anni. Da notare che lo stock in scadenza entro 12 mesi ammontava a 625,994 miliardi, nettamente maggiore dei 598,545 miliardi di un anno prima. Esso incideva per il 22,6% del totale dal 21,9% del febbraio 2022. Ma sono due i dati che attirano di più l’attenzione per la loro connotazione negativa. Il primo riguarda la detenzione nelle mani degli investitori esteri. A gennaio, ultimo mese per cui sono disponibili i dati, risultavano in calo per il decimo mese consecutivo a 729,906 miliardi, -8,4 miliardi su dicembre e al 26,5% dello stock complessivo. Su base annua, il calo si rivela pesante: -45,13 miliardi. Ed esso ha investito principalmente i titoli di stato, scesi di 63,32 miliardi a 614,94 miliardi.

In pratica, gli investitori stranieri si stanno tenendo sempre più alla larga dal debito pubblico italiano con la stretta sui tassi d’interesse. In effetti, la fuga è iniziata più di un anno fa, in coincidenza con l’aumento del costo del denaro negli Stati Uniti. Da un lato, il debito americano è risultato più attraente, dall’altro il rischio sovrano percepito a carico dei BTp si è alzato per via dell’enorme indebitamento che l’Italia possiede e che si considera meno sostenibile in un ambiente di tassi in rialzo.

Debito pubblico in forte crescita annuale

Poi, c’è il dato sulle disponibilità liquide del Tesoro. Lo avevamo commentato in occasione del dato di gennaio. A febbraio, si conferma il vero neo della sfilza dei dati resi noti al pubblico. Rispetto a un anno prima, sono diminuite di 58,7 miliardi. Nel frattempo, però, il debito pubblico è salito di quasi 34 miliardi. Questo significa che, al netto delle variazioni delle scorte di liquidità, lo stock è aumentato di circa 92,7 miliardi. Si tratta di un trend considerevole. Sulla base del PIL nominale di fine 2022, parliamo del 4,85%. Questo significa che il nostro debito pubblico continua a salire a ritmi elevatissimi.

Perché il tracollo delle disponibilità liquide? Sappiamo che il Tesoro tende a raccogliere sui mercati più liquidità di quanta ne abbia bisogno nell’immediato. Lo fa per ragioni di precauzione. Un po’ come quando una famiglia tiene qualche spicciolo a casa per evitare di restare a corto di denaro nel caso in cui un imprevisto non consentisse l’accesso immediato al bancomat. Ma sovra-indebitarsi costa, perché bisogna pagare gli interessi ai creditori. Quando i rendimenti dei titoli di stato erano bassi, persino negativi per le scadenze medio-brevi, tale costo era marginale o inesistente. Adesso che i rendimenti sono esplosi, non conviene strafare.

Un BoT a 3 mesi oggi offre circa il 2,85% contro il -0,63% di un anno fa, tanto per rendervi l’idea. Questo spiega la caduta della liquidità disponibile del Tesoro. Ed è anche probabile che lo stesso si aspetti che i rendimenti nei prossimi mesi scendano, per cui stia decidendo appositamente di rinviare il rimpinguamento della liquidità per quando le condizioni di mercato saranno migliori. Resta il fatto che il debito pubblico sale ancora troppo. A questi ritmi, una novantina di miliardi di euro di disavanzo su base annua ci costano quasi 3,5 miliardi. E sono debiti che si accumulano sui debiti.

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