Il 2016 ha chiuso ufficialmente con un debito pubblico di 2.217,7 miliardi di euro, in crescita di 45 miliardi rispetto all’anno precedente. In rapporto al pil, dovrebbe essersi attestato a un soffio dal 133%, la percentuale più alta mai segnata nella storia dell’Italia. I dati sono preoccupanti, perché segnalano una tendenza crescente non solo in valore assoluto – cosa ovvia, in assenza del raggiungimento del pareggio di bilancio – bensì pure in rapporto al pil, a causa della bassa crescita economica e dell’inflazione azzeratasi sin dal 2014 e risultata negativa per la prima volta nel 2016 dal 1959.

E i sintomi di una nuova possibile crisi di fiducia sulla sostenibilità del nostro debito sovrano hanno riacceso il dibattito pubblico su come aggredire questa montagna mostruosa. Si parla di dismissioni del patrimonio immobiliare dello stato, di nuova ondata di privatizzazioni, ma è lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, a mettere in chiaro che poco potrebbero sul piano concreto. (Leggi anche: Debito pubblico a +45 miliardi nel 2016)

Scioccanti sono, però, le conclusioni del Sesto Rapporto sulla regionalizzazione della previdenza italiana di Itinerari previdenziali, anticipate da Business Insider. Secondo i calcoli effettuati, i disavanzi degli enti pensionistici obbligatori accumulati dal 1980 al 2015 sarebbero stati complessivamente pari a 1.491,18 miliardi di euro. Poiché si tratta di somme finanziate a debito dallo stato, ciò significa che ben il 68,6% del debito pubblico segnato dall’Italia al 31 dicembre del 2015 avrebbe avuto come causa proprio il sistema pensionistico. Dal calcolo stiamo escludendo gli interessi maturati sul debito accumulato di anno in anno, che sono risultati storicamente in Italia positivi in termini reali, ovvero superiori all’inflazione. Considerando che dalla metà degli anni Ottanta, proprio la spesa per interessi ha inciso negativamente sui saldi fiscali, il conto dei deficit pensionistici potrebbe risultare persino più eclatante di quanto non appaia.

Pensioni causa dei due terzi del nostro debito pubblico

In un altro articolo, vi avevamo mostrato quando la tendenza crescente della spesa per le pensioni avrebbe iniziato a dare segnali di eccessivo squilibrio per i nostri conti pubblici.

Agli inizi degli anni Ottanta, l’Italia spendeva per la previdenza l’8,9% del pil, meno del 10,4% della Germania. Da allora, però, la spesa non ha fatto che salire in rapporto al pil, segno evidente che il suo tasso di crescita è stato superiore a quello dell’economia, con il risultato di essere esplosa all’attuale 17% contro lo stabile 10,5% della Germania.

E nonostante le numerose riforme degli ultimi anni, la tendenza non è migliorata. Il 2016 si è chiuso con una spesa pensionistica, al netto dell’assistenza, pari a 217,9 miliardi di euro, a fronte di entrate contributive per 191,3 miliardi, determinando un passivo nei conti dell’Inps di 26,6 miliardi. Questi risultati, spiega sempre Itinerari previdenziali, sono in peggioramento negli ultimi anni, quando nel 2008 si era arrivati a un sostanziale equilibrio tra entrate e uscite. (Leggi anche: Pensioni in Italia alte?)

Crescita spesa pensionistica superiore al pil

Vero è, però, che i dati si prestano a una lettura un po’ più ottimistica, perché se si tenesse conto, ad esempio, delle imposte gravanti sulle pensioni, che non sono altro che una partita di giro per lo stato, il conto netto scenderebbe a 168,5 miliardi, meno dei 172,2 miliardi pagati da lavoratori e imprese, senza considerare i contributi versati dalla stessa Pubblica Amministrazione per i dipendenti pubblici.

Resta il fatto, però, che la spesa pensionistica al netto dell’inflazione continui a crescere da decenni a ritmi più veloci rispetto al pil e che negli ultimi anni, complice la crisi economica, il divario è tornato ad ampliarsi. Un esempio? Nel periodo 1989-1997, la prima aumentava al tasso annuo medio del 4,5%, il secondo dell’1,9%. Tra il 1998 e il 2008, si era quasi arrivati a un equilibrio con una crescita rispettivamente dell’1,7% contro l’1,5%, mentre dal 2009 in poi la prima aumenta mediamente dello 0,8% all’anno, quando il pil segna una contrazione reale dell’1,7%.

(Leggi anche: Spesa pensionistica insostenibile? Servono milioni di lavoratori in più)

Giovani generazioni depredate

Il debito pubblico, si sostiene spesso in economia, altro non è che tassazione del futuro, ovvero un onere a carico delle nuove generazioni. Nel caso italiano, ciò appare ancora più vero, perché la nostra economia sarebbe diventata tra le più indebitate al mondo, non già per investire sul futuro con opere infrastrutturali e sostegno alla ricerca e sviluppo, bensì in favore dei pensionati, ovvero della parte della popolazione più anziana. (Leggi anche: Fuga di cervelli? Anche nel governo, che ha un problema con i giovani)

Stando così le cose equivale ad ammettere che l’Italia abbia puntato a trasferire ricchezza dai giovani agli anziani, una tendenza, che così marcata non si nota praticamente in nessun altro paese avanzato. Che i due terzi del debito pubblico italiano siano stati alimentati da un eccesso di spesa per le pensioni sfaterebbe anche il mito di un’Italia arrivata sul lastrico per effetto della corruzione e delle inefficienze della Pubblica Amministrazione, per quanto siano effettivamente reali sia l’una che le altre. Sarebbe il caso che come italiani ci facessimo un esame di coscienza su come abbiamo inteso redistribuire le risorse pubbliche e a discapito di chi.